Affari Europei

Gran Bretagna al voto. I nazionalisti scozzesi ago della bilancia

Di Tommaso Cinquemani
@Tommaso5mani

Mentre gli inglesi fanno la fila alle urne per rinnovare il Parlamento, nelle sedi centrali dei partiti si fanno i calcoli per le future alleanze. La vittoria o la sconfitta dipenderà da poche migliaia di voti, visto che i due storici partiti, il Labour e i Tories sono dati alla pari intorno al 34%.

Ma la vera novità di queste elezioni sono i piccoli partiti sorti intorno ai due giganti che, sottraendo anche piccole percentuali, hanno condannato la Gran Bretagna all'ingovernabilità. Qualcosa che gli inglesi non conoscono, visto che fin dal dopoguerra il bipartitismo britannico è sempre stato solido.

E così David Cameron, il premier uscente e dato da molti sondaggisti come il futuro vincitore, dovrà fare i conti con alleanze tutt'altro che semplici. A seconda dei numeri che usciranno dalle urne potrà varare un governo di coalizione o addirittura di minoranza, condannato a durare pochi mesi per poi tornare al voto.

Ma allearsi con chi? I Libdem (liberal-democratici) di Nick Clegg, attualmente al governo con i Tory, potrebbero essere della partita. Se Cameron chiede meno spesa pubblica, meno Europa e meno immigrati, i Libedem potrebbero fare da contrappeso essendo europeisti convinti, a favore di una spesa sociale sostenibile, ma forte, e con una politica immigratoria più aperta.

Ma se Cameron imbarcherà Clegg non potrà accogliere Nigel Farage, il leader dell'United Kingdom Indipendence Party. I sondaggi lo danno in discesa dopo le Europee, ma Farage porterà comunque un bel drappello di onorevoli a Westminster. Il problema è che l'agenda dell'Ukip è in rotta di collisione con quella dei Libedem. In ogni caso i sondaggisti sono convinti che anche con entrambi come alleati Cameron difficilmente raggiungerà la maggioranza.

Ecco allora che potrebbe scendere in campo il leader, tutt'altro che carismatico, dei laburisti, Ed Miliband. La sua agenda punta tutto su una maggiore spesa sociale, soprattutto nel sistema sanitario nazionale, colpito dai tagli del governo e su una maggiore 'giustizia sociale'. Contro l'austerity si è scagliata anche Nicola Sturgeon, lei sì carismatica leader dello Scottish National Party, il partito che ha perso il referendum sulla secessione della Scozia ma che al nord potrebbe portare a casa 50 seggi su 59.

Nonostante i molti punti in comune i due leader hanno fatto sapere di non ritenere possibile un governo assieme, ma piuttosto un appoggio esterno (a noi italiani queste parole sembrano quasi normali, ma per un inglese sono incomprensibili). Gli scozzesi si faranno pagare a peso d'oro il supporto chiedendo maggiori autonomie per il nord su questioni come l'energia, la scuola e chiederanno anche la rinuncia al deterrente nucleare britannico. In Scozia sono infatti basati i sottomarini che trasportano i missili balistici Trident che ora devono essere sostituiti, ma che la Sturgeon vorrebbe lontano dalle sue coste.

Ma per governare Miliband dovrebbe imbarcare anche i Verdi e magari anche il partito del Galles. Insomma, un grande governo di coalizioni che tra veti incrociati, capricci e accuse reciproche rischia di non durare molto, con buona pace di chi rimpiange ancora la Thatcher.