Affari Europei

Migranti e conti pubblici. Juncker e Renzi hanno bisogno l'uno dell'altro

É finita cosi, a tarallucci e vino. Di nuovo tutti amici, grandi pacche sulle spalle e sorrisi. L'incontro tra Jean Claude Juncker e Matteo Renzi ha portato quel disgelo che sia a Roma che a Bruxelles tutti auspicavano. E non poteva essere diversamente. Il meeting era stato preparato da tempo, con gli sherpa di entrambe le parti che avevano preparato il terreno.

Il presidente della Commissione Ue ha elogiato il premier Renzi per la gestione della crisi dei migranti. Sono passate le polemiche sugli hot spot che non funzionano e le impronte digitali mancanti. Oggi l'Italia é un partner in cui si può riporre fiducia. Juncker d'altronde sa bene che il problema ora come ora non é l'Italia, ma i Paesi dell'est. Vienna ha indetto un summit degli Stati che sono interessati dalle rotte balcaniche senza interpellare la Commissione europea e la Grecia. Il messaggio é chiaro: Bruxelles e Atene sono incapaci di gestire la crisi, meglio fare da soli. Un andazzo che nei palazzi europei non possono tollerare, pena la fine di Schengen e la disgregazione dell'Unione.

Ma c'é anche un altro motivo se Juncker é apparso così accomodante. La sua nomina a capo della Commissione europea é stata possibile grazie alla fiducia che gli é stata data dal gruppo S&D, l'espressione parlamentare del Pse. Fiducia che per bocca del suo capogruppo, l'italiano Gianni Pittella, ora traballa. O l'Europa diventa più sociale, investendo su occupazione e smorzando il rigore dei conti, oppure i socialisti potrebbero staccare la spina.

Il premier italiano e i suoi uomini stanno ormai da settimane costruendo un fronte anti-rigore che, nelle speranze del premier, dovrebbe arrivare a coagularsi attorno al position paper pubblicato da Renzi e Padoan lunedì. Una riforma dei trattati giudicata “ambiziosa” da Juncker e che dovrebbe segnare il cambio di rotta con il modello rigorista di Berlino.

Già, Berlino. Si sentiva la presenza della Merkel durante l'incontro a Palazzo Chigi anche se la Cancelliera era a chilometri di distanza. Renzi sa bene che Juncker é espressione del Ppe, di cui i popolari tedeschi sono la forza dominante. E Renzi sa altrettanto bene di non poter tirare troppo la corda sul lato della flessibilità dei conti. Avvertimenti chiari sono arrivati dal potente Jeroen Dijsselbloem, che periodicamente richiama Roma all'ordine.

Maggio sarà il mese della verità, in cui la Commissione darà il suo giudizio definitivo sui conti del nostro Paese e sapremo quale sarà la quota di flessibilità che sarà accordata all'Italia. Tutto dipenderà dalla volontà che Roma mostrerà nel proseguire sul percorso di riforme e nei tagli al debito (assicurati da Renzi).

La tegola sul governo viene però dai mercati e dall'economia mondiale. Le Borse sono da inizio anno sull'altalena, mentre l'economia cinese rallenta e il greggio é ancora ai minimi storici. Tutti elementi di una tempesta perfetta che può ridurre la ripresa italiana, mandando all'aria i conti di Padoan. Ma il rischio é che ad affondare non sia solo l'Italia, ma anche altri Paesi Ue, Francia in primis.