Trattati Roma, Berlino e la sindrome dell'egemone riluttante
Nolente o volente la Germania é alla testa del rilancio dell'Europa. Ma Berlino é abbastanza forte da far uscire l'Unione dalla palude in cui si trova?
"Chiamate Merkel, se cercate l'Europa". Ogni volta che si parla del ruolo della Germania in Europa, si sentono ripetere tre storie. La prima e' quella della famosa battuta di Henry Kissinger su quale numero telefonico chiamare quando si cerca il Vecchio Continente, e invariabilmente oggi la risposta e' sempre la stessa: "Quello della cancelliera". La seconda e' quella del discorso di Thomas Mann, su "una Germania europea, non un'Europa tedesca", che e' la vera chiave per capire la storia della Repubblica federale dopo la II Guerra Mondiale.
Berlino egemone riluttante
La terza e' quella, molto in voga, dell'"egemone riluttante": certo che la Germania, si ribadisce continuamente, e' il paese leader della Ue, ma ha una scarsa disponibilita' ad esprimere fino in fondo la sua leadership, nonostante un'economia straordinariamente forte, un surplus-record che impressiona partner e avversari, e una stabilita' politica che, dopo oltre 11 anni di Merkel alla cancelleria, e' invidiata da Washington a Mosca passando, ovviamente, per Bruxelles. In effetti, tutte e tre le affermazioni sono vere. E si riconducono alla scelta di fondo compiuta 60 anni fa dalla Repubblica federale di Konrad Adenauer, quella di sposare pienamente la causa europea, vedendo in essa - sia pur tra contraddizioni e resistenze - il vero riscatto rispetto all'abisso in cui la Germania nazionalista aveva fatto precipitare se stessa e il mondo sotto Adolf Hitler.
La Germania paladina della causa europea
Lo ha detto due anni fa anche l'ex ministro degli Esteri tedesco, Joschka Fischer: "Abbiamo ricostruito la nostra reputazione abbracciando l'integrazione occidentale e l'europeizzazione". Prima, dall'unificazione originaria con Bismarck fino alla divisione del paese con il Muro di Berlino, l'idea stessa di una sola Germania faceva rima con militarismo e nazionalismo. Dopo, la scelta europeista - da Adenauer a Brandt, da Schmidt a Kohl, da Schroeder a Merkel - e' stata il pilastro fondante dell'essere tedeschi a cavallo tra Novecento e nuovo millennio. Per dirla con le parole del presidente uscente Joachim Gauck: la Germania ha saputo costruire una nuova "consapevolezza di se', sulla base della responsabilita'". E' una consapevolezza problematica, dice Gauck, perche' l'abisso del Terzo Reich non puo' e non deve essere rimosso, anzi dev'essere il fondamento di un modo pacifico, dialogante, comunitario di stare al mondo.
L'ombra dell'onta nazista sulla Germania
Non e' "la colpa" l'unica risposta, ma il senso di responsabilita' per il prossimo che deriva da un passato cosi' devastante. Ovviamente, pero', la storia non finisce qui. Al piu' tardi dall'eurocrisi in poi, Berlino e la sua cancelliera hanno dovuto fare i conti con il ritorno di certi fantasmi, soprattutto nella narrazione di quei paesi che piu' hanno sofferto in questi ultimi anni, Grecia in testa. Nel migliore dei casi Berlino e' vista come una potenza capace di determinare lei sola le condizioni e i prezzi da pagare di chi non e' riuscito a stare nei parametri europei, brandendo il debito come una clava.
La Germania sente il dovere di guidare una Europa debole
Lo stereotipo ricorrente e' quello di un tedesco medio soddisfatto di se' che guarda con diffidenza agli abitanti dell'Europa mediterranea e meridionale "spendaccioni", sostanzialmente incapaci di mettere in piedi delle riforme credibili. Contrariamente a quello che hanno fatto loro, i tedeschi, trasformando nei primi anni duemila la Germania da "malato d'Europa" con una disoccupazione alta e un'economia stagnante a indiscutibile potenza globale. Una Germania che comunque era stata capace di gestire, dopo la caduta del Muro e la fine di un mondo diviso in due, una riunificazione che ha cambiato i connotati della storia. A Berlino non lo si dice a voce alta, proprio per non esser accusati di essere "egemoni", ma e' proprio sulla base di queste contrapposizioni che oggi la Germania e' chiamata a governare una sfida che potrebbe essere di sopravvivenza per la Ue, ora che tutti i pilastri della costruzione europea sono sottoposti a fortissime tensioni: scricchiola l'asse con la Francia a rischio di deriva lepenista, la Gran Bretagna ha scelto di volgere le spalle alla Ue, molti paesi dell'est minacciano un costante Aventino, lo tsunami populista tinto di destra e' ancora minaccioso, le onde migratorie destabilizzano un ceto medio sempre piu' precario, la Turchia di Erdogan tuona contro una Germania "nazista" e minaccia di far saltare l'accordo sui migranti.
Grande potenza, ma non abbastanza da unire l'Europa
Troppe le tensioni e le pressioni a cui e' sottoposta la "potenza di centro", quale la Germania e' sin dalla sua prima unificazione, quella del 1871: lo storico e politologo Gian Enrico Rusconi la chiama "egemonia vulnerabile" piu' che "riluttante". Ai tempi di Bismarck era Parigi l'avversaria e Londra e Mosca gli alleati, ma allora come dopo il 1945 e di nuovo dopo il 1989 il problema di fondo non cambia, dice Rusconi: non far strabordare il potere tedesco da una parte e dall'altra placare le paure che suscita. Negli anni cinquanta e sessanta questo processo aveva le fattezze del "boom" economico, nei settanta quelle della Ostpolitik, negli anni duemila quelle di un nuovo cosmopolitismo, che si declina in una stabilita' economica formidabile ma anche nei vari milioni di stranieri che oramai rappresentano uno dei volti piu' marcati della Germania moderna.
Oggi, come scrivono Josef Janning e Almut Moeller per conto dello European Council On Foreign Relations, "nell'ultimo decennio, la Germania si e' appropriata del ruolo naturale di leader negli affari economici e monetari della Ue, ed ha anche acquisito un ruolo maggiore nella politica estera e di sicurezza. Tuttavia quel che sembra essere egemonia, sebbene qualificata con gli aggettivi 'riluttante' o 'benevola', non viene accettata dalla classe politica tedesca. Piu' di altri grandi attori, i leader tedeschi sentono il bisogno di agire nell'ambito del consenso. Vogliono partner di coalizione che condividano orientamenti, oneri e responsabilita'". Compito difficile far quadrare potere e condivisione. Ma non e' un paradosso che Merkel continui ad invocare "piu' Europa" a fronte dei tanti che scuotono l'Europa sin dalle sue basi (e non solo perche' l'euro ha favorito la competitivita' tedesca): l'unione del Vecchio Continente e' il collante che tiene insieme la Germania del nuovo millennio. Cosi' come e' sempre di piu' la Germania il cemento che tiene insieme il Vecchio Continente.