Detenuta si lascia morire di fame in carcere. "Voleva vedere la figlia"

La detenuta 43enne si rifiutava di alimentarsi fin dal suo ingresso nella struttura. Piemonte sul podio (negativo) per numero di detenuti

Di Redazione Cronache
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Torino, detenuta nigeriana si lascia morire di fame in carcere

L’emergenza carceri preoccupa sempre di più. La scia di morti per suicidio appesantisce di anno in anno il bilancio complessivo e risulta la spia di un problema di gestione dei luoghi di detenzione in Italia. L’ultimo caso riguarda una donna di origine nigeriana, detenuta presso il carcere delle Vallette a Torino, dove la 43enne ha deciso di “lasciarsi morire di fame” fino a trovare la morte.

A darne notizia è il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, per voce del segretario regionale del Piemonte, Vicente Santilli, che in una nota spiega: “il pur tempestivo intervento dei nostri agenti di Polizia Penitenziaria di servizio non ha purtroppo impedito la morte della donna che stava scontando una pena per cui era previsto il termine nell’ottobre 2030. È deceduta intorno alle 3, nell’articolazione di salute mentale presso cui era ristretta, e la morte è stata accertata dal personale medico e paramedico del 118, immediatamente chiamato dagli agenti.

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La donna era entrata in carcere poco dopo la meta del luglio scorso e fin dall’inizio della sua permanenza in carcere “si è sempre rifiutata di assumere alimenti, rifiutando ogni cura e sollecitazione a mangiare e persino i ricoveri in ospedale”.

L'avvocato della vittima: "Doveva essere ricoverata"

L'avvocato Wilmer Perga, legale di Susan John si chiede perché la sua assistita non sia stata ricoverata, andando 'oltre' il suo rifiuto. "Il 6 luglio la Cassazione ha respinto il nostro ricordo e confermato la condanna. Lei era presente in aula. Ho chiesto al suo compagno se, quando sono andati a casa per prenderla e portarla in carcere, avesse avuto particolari reazioni - è il racconto del legale all'Agi -. Nessuna reazione particolare a parte il desiderio che ha espresso alle forze dell'ordine di andare in Nigeria. Una settimana fa mi ha chiamato un'ispettrice della polizia giudiziaria per dirmi che era preoccupata perché non mangiava. Due, tre giorni fa è arrivata la chiamata della direttrice del carcere che mi manifestava la sua preoccupazione per il prolungato digiuno".

Secondo l'esperto avvocato torinese, "la mia assistita andava curata. Non stava facendo una battaglia 'politica', semplicemente non mangiava né beveva e quindi andava considerata come una malata da curare. Ricordiamo che Cospito, a un certo punto del suo sciopero, venne ricoverato".

La donna peraltro era in un reparto destinato a detenuti con problemi psichiatrici. "Questo io non lo sapevo - prosegue Perga - quindi si sarebbe potuto pensare anche a un tso. Perché non è stata ricoverata? Mi sembra incredibile...Eppure ho apprezzato molto l'interessamento, molto raro in questi casi, della direttrice che mi ha chiamato. Poi non so cosa sia successo ma andremo fino in fondo".

Emergenza carceri, Piemonte tra le regioni con più detenuti in Italia

Santilli ricorda, poi, che “in Piemonte vi sono 13 istituti penitenziari sui 189 nazionali. La capienza regolamentare regionale stabilita per decreto dal ministero della Giustizia sarebbe di 3.999 detenuti, ma l’ultimo censimento ufficiale, al 31 luglio scorso, ha contato 4.036 reclusi, che ha confermato come il Piemonte sia tra le regioni d’Italia con il maggior numero di detenuti. Le donne detenute sono complessivamente 160 mentre gli stranieri ristretti sono circa 1.600”.

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“La situazione sanitaria nelle carceri resta allarmante, come hanno anche confermato in più occasioni anche gli esperti della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria”, commenta Donato Capece, segretario generale Sappe - secondo un rapporto su ‘Salute mentale e assistenza psichiatrica in carcere’ del Comitato Nazionale per la Bioetica, osservando le tipologie di disturbo prevalenti sul totale dei detenuti presenti, al primo posto troviamo la dipendenza da sostanze psicoattive (23,6), disturbi nevrotici e reazioni di adattamento (17,3%), disturbi alcol correlati (5,6%). Le carceri, dunque, assomigliano sempre più a ‘moderni lazzaretti’”.

“Anche la consistente presenza di detenuti con problemi psichiatrici è causa da tempo di gravi criticità per quanto attiene l’ordine e la sicurezza delle carceri del Paese - prosegue Capece - servono interventi concreti ma servono anche più tecnologia e più investimenti: la situazione resta allarmante, anche se gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria garantiscono ordine e sicurezza pur a fronte di condizioni di lavoro particolarmente stressanti e gravose”, conclude il segretario generale del Sappe.

 

 

 

 

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