Legge Basaglia e chiusura dei manicomi. Un'altra colpa storica della sinistra

La legge Basaglia ha portato alla chiusura dei manicomi, ma non è andata incontro alle famiglie dei malati adottando misure alternative

Di Giuseppe Vatinno
Cronache

Legge Basaglia e chiusura dei  manicomi: quando la medicina venne inquinata dalla filosofia 

Uno dei danni più duraturi che la sinistra ha apportato alla società italiana è stata la cosiddetta "legge Basaglia" e cioè la legge 180 del 1978, che prevedeva la chiusura dei manicomi. Franco Basaglia è stato uno psichiatra veneziano, operante a Gorizia, fondatore di Psichiatria Democratica (già il nome è un obbrobrio ed un programma ideologico). Purtroppo Basaglia inquinò la medicina con la filosofia e specificatamente l'esistenzialismo sartriano di stampo comunista. Inquinò il positivismo medico con concetti ambigui e pericolosi in campo psichiatrico cercando un approccio umano con il "matto" generando però una serie di guai di cui vediamo quotidianamente ancora gli effetti.

La legge 180 voleva superare l'istituzione manicomiale: peccato che abbia finito invece per scaricare tutti i problemi sulle famiglie (quando ci sono) dei malati che sono i primi a maledire la legge 180. Come è noto la via dell’inferno è sempre lastricata di buone intenzioni. Basaglia disse: "Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c'è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione".

Ma cosa significa "fare diversamente" e quale è esattamente l'"altro modo"? Fare diversamente significava per Basaglia un approccio umano al malato e chi potrebbe essere contrario? Il punto è che poi quando il matto diventa furioso è pericoloso per sé e per gli altri e hai voglia a parlargli di Sartre e Marcuse, quello/a prende la mira e spacca tutto quello che trova e allora devi andarci giù di psicofarmaci e TSO con buona pace di Marcuse, Sartre, Marx e Gramsci. 

Se si fa notare questo ai buonisti di sinistra la risposta, ad esempio di qualche giorno fa di Rosy Bindi, è sempre la stessa: la legge 180 è una buona legge ma non è stata completamente applicata. Cioè lo è stata nella parte destruens, con la chiusura dei manicomi, ma non lo è stata con la parte costruens, e cioè con l’applicazione delle misure alternative.

Pare di risentire la lagna sui bonus edilizi: la legge è ottima perché fa ripartire l’economia ma è stata congeniata male perché ha aperto la strada ai furbacchioni della truffa. E quindi è una cattiva legge. Punto.
E così è la legge 180. È stata congeniata e scritta male perché prevedeva delle strutture alternative ai manicomi per i malati psichiatrici che in realtà non sono mai decollate. Ma questo non è un limite delle istituzioni è un limite della legge stessa che ha prestato il fianco alla sua interpretazione più lassista.

In un Paese come l'Italia il legislatore doveva prevedere quello che sarebbe successo e cioè che la legge sarebbe poi stata utilizzata sì per chiudere i manicomi ma poi avrebbe scaricato tutto un insostenibile peso sulle famiglie che non possono reggere da sole il gravame della malattia mentale grave (e i relativi costi, tra l’altro). Tra l’altro, la moglie di Basaglia, Franca Ongaro, si è fatta due legislature consecutive in Senato come Sinistra Indipendente dal 1983 al 1992. 

E qui veniamo ad un discorso più ampio e cioè i guai che ha fatto nei decenni la sinistra con la promulgazione di leggi strampalate e pericolose. E per fortuna il cosiddetto DDL Zan non è passato, una legge liberticida che avrebbe permesso una dittatura di una esigua minoranza sulla maggioranza. E poi ci si chiede perché il centro – destra e specificatamente Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia abbiano vinto. La risposta è facile: perché hanno i piedi per terra e sanno che non basta fare una legge con buone intenzioni per preservarne dalle conseguenze nefaste la società.

Qualche giorno fa c’è stata la giornata mondiale della salute mentale e Alberta Basaglia ha esternato in favore del padre, ormai santone inattaccabile della cultura radical chic di sinistra. Alla domanda cosa significava entrare prima della 180 in un manicomio risponde candidamente: "Significava entrare in un lager. Accedere in un posto dove le persone che non corrispondevano a un concetto di normalità, venivano rinchiuse, legate, maltrattate, sottoposte a elettro shock e private di ogni velleità di vita. E pensare che molti di loro non avevano nemmeno alcun sintomo psichiatrico, magari solo comportamenti considerati fuori norma. Alcuni altri sì. Perché la malattia mentale esiste. Ma va curata come tutte le altre malattie. Sicuramente non annientando le esistenze come succedeva a migliaia di persone rinchiuse".

Notare come venga elusa la questione fondamentale e cioè cosa fare con i "matti". La Basaglia la butta subito sui diritti umani e cioè sul fatto che "molti di loro non avevano nemmeno alcun sintomo psichiatrico". La Basaglia ci vuole dire che il matto era semplicemente uno che non corrispondeva alla normalità, era un "deviante", ma per il resto tutto bene. Ed invece non è affatto così.

L'essere "fuori norma" – come lei chiama il paziente psichiatrico - vuol dire molte volte essere pericolosissimi per sé e per gli altri ed ora grazie alla legge di suo padre il pericolo è tornato nelle famiglie e nella società. Speriamo che il nuovo governo ponga mano anche ad una revisione di questa legge bislacca.


 

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