Segre-Seymandi, chi tradisce non ha per forza sempre torto. Ma non parliamo di femminicidio mediatico

Massimo Segre e Cristina Seymandi, l'analisi di Elisabetta Aldovrandi. "La parte intrigante è capire perché..."

Di Elisabetta Aldrovandi *
Massimo Segre e Cristina Seymandi
Cronache

Massimo Segre e Cristina Seymandi, "femminicidio mediatico”? Non esageriamo. Le violenze, i femminicidi, i maltrattamenti, sono altri

Lei che tradisce lui che sbugiarda lei che annuncia querele. E nel mezzo, eserciti di opinionisti più o meno esperti che alzano le barricate in favore dell’uno o dell’altra.

Il caso è quello della coppia della Torino bene, dove un danaroso banchiere ultra sessantenne si innamora della quarantenne attraente. Tre anni d’amore, frequentazioni coi rispettivi figli, fino alla decisione di sposarsi. Una decisione ponderata, perché entrambi hanno precedenti e vogliono essere sicuri. Così sicuri, che lui decide di indagare sulla fedeltà della compagna, scoprendo, a suo dire, raffiche di tradimenti.

Ma, a differenza di ciò che ci si aspetterebbe da un uomo più che adulto ferito e sanguinante, fa qualcosa che stride con il tipico aplomb piemontese: decide di lavare i panni sporchi fuori casa. E così, organizza una festa con 150 invitati, tra cui i presunti amanti con annesse mogli al sèguito, alla fine della quale prende il microfono e, tra video e immagini del loro amore felice, mostra immagini della compagna con un industriale e un avvocato. Ossia, gli amanti, in particolare quest’ultimo, da cui, dice lui, lei è attratta mentalmente e sessualmente.

Al punto che il tradito, generosamente, le fa il dono più bello: la libertà di amare e di stare con chi vuole, anche in quel viaggio a Mykonos già prenotato (e pagato, ovviamente da lui, particolare ben sottolineato), che avrebbero dovuto fare insieme. Lei ascolta attonita, letteralmente “frizzata” da una valanga di parole che la travolgono e la lasciano senza respiro. Dopo di che, terminato il suo discorso, in parte letto e in parte recitato, il “cornuto”, come si auto definisce, lascia tutto e tutti nel silenzio più torbido, consapevole di aver distrutto, quella sera, più di una vita. Ma probabilmente disinteressato alla sequela di conseguenze che con effetto domino si riverberanno sulla vita di vittime inconsapevoli, come i figli e le mogli di questi amanti.

Ciò che più interessa, in questa storia, non è decidere da che parte stare, perché come spesso accade nella vita, il colore giusto non è né il bianco né il nero, ma il grigio.

La parte intrigante è capire perché si decide di vendicare pubblicamente un’onta che solitamente si preferisce mantenere privata. Che cosa spinge una persona a mettere in piazza ciò che, per il sentire comune, è fonte di vergogna e auto commiserazione. La trasformazione di un “difetto”, ossia quello di non saper soddisfare la propria donna, in una sofferenza da condividere, l’ammissione implicita e pubblica di una fragilità che si trasforma in forza (o prepotenza) rovesciando ogni responsabilità sulla fedifraga. Perché chi tradisce ha sempre torto, a prescindere. O forse no.

E pure lei, la traditrice seriale, accusata e sbeffeggiata o difesa a spada tratta a ore alterne, dopo un paio di giorni di riflessione non ci sta più: dice che le storie extra sono fantasmi, che il compagno è stato manipolato, che lei è vittima di un “femminicidio mediatico”. Non esageriamo. Le violenze, i femminicidi, i maltrattamenti, sono altri. E nella vita bisogna anche avere il coraggio e la faccia per affrontare le conseguenze delle proprie azioni. Anche se a volte quelle conseguenze possono sembrare, e in questo caso lo sono, eccessive.

* Garante per la tutela delle vittime di reato da marzo 2019, è avvocato e Presidente dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime di reato.

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