Valditara: "La prova orale sarà una chiacchierata". Così la maturità diventa una barzelletta
Quella del 2023 non sarà un esame di maturità, ma di assurdità. Così il ministro dell'Istruzione trasforma un momento di svolta della vita in una barzelletta
Valditara: "La prova orale sarà un colloquio sereno". Così la maturità diventa una barzelletta
Recentemente lo psicologo Paolo Crepet, passato da una lunga fase di calma rassegnazione ad una di denuncia del “tran tran” educativo corrente, ha dichiarato tra l’altro: “[Il Ministro] Valditara considera i ragazzi tutti psicolabili, cioè incapaci di affrontare un esame di maturità. E quindi la prova orale sarà una chiacchierata sul futuro della loro vita. A questo punto, è chiaro che così decreta la morte della scuola. Il ministro dica cosa vuol fare. Lui ha delle responsabilità. O sono tutti psicolabili, e io non firmo questo assunto, oppure ci sono dei casi difficili, e in quel caso sono necessari professionisti che dovranno essere giustamente pagati. È preoccupante che un ministro suggerisca una tale paura che la nuova generazione non possa nemmeno sostenere un esame e rispondere a domande su Calvino o Napoleone”.
Mi sono chiesto se non vi fosse esagerato catastrofismo in questa inferenza apparentemente corretta. Ma un resoconto delle ripetute dichiarazioni ministeriali, a partire da quella riferita da Alfredo Giuliani su TS del 31 Maggio, conferma che Crepet non esagera: il Ministro avrebbe “raccomandato che le prove si svolgano in un clima di grande serenità: in particolare – riporta l’Ansa – è stato ricordato che l’orale non consisterà in una serie di interrogazioni sulle singole discipline, ma sarà centrato, come prevede l’ordinanza firmata a marzo, su un colloquio fra lo studente e la commissione, che toccherà i vari ambiti di studio, nel contesto di una comprensione globale di quanto è stato assimilato durante l’ultimo anno e degli interessi che lo studente ha mostrato durante il suo percorso”.
Dunque il nesso tra “grande serenità” e contenuto dell’orale indicato da Crepet esiste. Per non creare troppa ansia, facciamo un esame di maturità che ne conservi solo il nome. Bisogna distinguere la critica di Crepet a questo provvedimento del Ministro dalla sua critica generale al nostro modello educativo: in cui i genitori provvederebbero a rimuovere ogni difficoltà, ogni ostacolo dall’esistenza dei figli, svuotandola così di significato e lasciandoli non solo inermi, ma privi di senso; bisogna distinguere: ma è chiaro che con questo provvedimento il Ministro si pone come il mega-genitore nazionale e il suo provvedimento un proclama neo-italiano: nessuna difficoltà per nessuno.
Ciò che Crepet non nota è l’estrema perigliosità del colloquio precisamente delimitato, ma solo negativamente. Non sarà un esame di maturità, ma di assurdità. Tra una settimana, i colloqui potrebbero essere varianti di quello ipotizzato nel racconto che segue.
Il racconto
Studente: “…E così i miei studi… beh, sarebbe onesto dire che molto non ho studiato. Ad esempio in latino, raramente ho avuto la sufficienza. Per fortuna le traduzioni in latino non si fanno più. Ma io trovavo difficili anche quelle dal latino”.
Professore: “E i Suoi genitori non l’aiutavano? A volte basta un piccolo suggerimento per rimettere sulla strada giusta un tentativo di traduzione…”.
Studente: “L’avevano studiato tutti e due, ma mi dissero che non se lo ricordavano. Poi per fortuna mi tranquillizzarono: se non ci riuscivo pazienza, non valeva la pena di tormentarsi inutilmente. Però, fui colpito da alcuni versi di una satira di Orazio, e di altri di una elegia di Tibullo. Tanto che li copiai sul mio diario, insieme alla loro traduzione trovata sul libro”.
Professore: “Ah bene, e che cosa La interessò in quei versi?”.
Studente: “Ora non ricordo bene. Mi pare l’immediatezza dei sentimenti espressi”.
Professore: “Vogliamo vedere sul Suo diario i versi di Orazio o Tibullo da Lei trascritti? Così potremmo subito capire cosa di quei versi Le piacque, e perché Le piacque”.
Studente: “Volentieri lo farei, ma non possiamo”.
Professore: “Come non possiamo?”.
Studente: “Perché sconfineremmo nella Letteratura Latina, che in quanto materia di insegnamento, non è un argomento di esame”.
Professore: “Ah certo, ha ragione. Stavo dimenticandomene. Beh allora, se non ha altro da aggiungere sul contributo del Latino alla Sua formazione e in prospettiva al Suo futuro, possiamo passare ad un’altra materia, pardon, argomento. Anzi, diciamo più correttamente, se Lei è d’accordo, possiamo riprendere la conversazione”.
Studente: “Ma certo”.
Professore: “Dunque, siamo al Liceo Carducci. Avrete fatto un bel po’ di Carducci…”.
Studente: “Sì in effetti: Non è che mi entusiasmasse”.
Professore: “Alcune delle sue poesie sono così famose che sono passate da una generazione alla successiva, almeno sinora, e ormai si può dire facciano parte della cultura popolare, se non della tradizione nazionale. Ai suoi genitori ne piaceva qualcuna?”.
Studente: “Sì, a mia mamma ‘Davanti a San Guido’, forse perché è anche lei di quelle parti”.
Professore: “Ah bene, ‘Davanti a San Guido’. E, come procediamo? Non le dispiacerà se Gliene recito qualche verso a memoria?”.
Studente: “No assolutamente: tanto io già da anni mi sono rifiutato di imparare alcunché a memoria, un’enorme fatica inutile. Faccia pure”.
Professore: “Non son piú, cipressetti, un birichino, E sassi in specie non ne tiro piú. E massime a le piante. Ecco: si potrebbe dire che molto della poesia sia contenuto o preannunciato in questi versi. Sarebbe d’accordo con questa affermazione?”.
Studente: “Temo Professore che se rispondessi a questa domanda collaborerei con Lei in una pericolosa incursione nella Letteratura Italiana, che in quanto materia di insegnamento, non è materia di esame. Sorvolare sulla poesia, aggirarsi attorno ad essa, o più precisamente, sul mio rapporto con la poesia, va bene. Parlarne trascendendola, va bene. Ma esporne il contenuto, o tentarne un’interpretazione, no”.
Professore: “Ha di nuovo ragione. Mi scusi. A Lei, quando un po’ più giovane, o magari anche ora, veniva da tirare i sassi agli alberi? E se anche no, perché molti ragazzi lo fanno? Questa è una circostanza generale. E la domanda su di essa non verte sulla poesia, né su alcuna altra materia di insegnamento. Se Lei volesse prenderla in considerazione, staremmo aggirandoci attorno ad essa, come Lei ha esattamente proposto. A questa domanda non esiste del resto neppure una risposta “giusta” codificata”.
Studente: “Sì, ma è una domanda a cui non ero preparato. Tutte le domande cui non si è preparati vanno escluse, non solo quelle che vertono sulle materie di insegnamento”.
Professore: “In effetti bisogna riconoscere che prepararsi a rispondere a domande che non vertono sulle materie di insegnamento può comportare delle difficoltà inattese. Ma qui non occorre essere preparati. Basta usare il proprio senso di osservazione, la propria comprensione globale del mondo e magari, perché no, della poesia; ricorrere alla propria, se vogliamo usare la parola spero non troppo intimidente che indica perché ci troviamo qui… maturità”.
Studente: “Può darsi. Ma cercare di rispondervi mi dà ansia, mi sento soffocare. Sto male! Mi gira la testa! Aiuto, ho le vertigini!”.
Professore: (molto preoccupato, dopo essere corso a spalancare i vetri delle due finestre ed aver porto allo Studente un bicchier d’acqua): “Come sta? Si sente meglio?”.
Studente: “No. L’esame deve consistere di una conversazione condotta in perfetta serenità. Sennò non è più un esame regolare. Le domande cui non si sa rispondere, tutte, appartengano per fortuna alle materie di studio, o no, danno ansia. E Lei ponendomi all’improvviso questa domanda così… impropria ha fatto mancare alla mia prova di maturità la necessaria serenità”.
Professore e Studente: escono dall’aula singhiozzando entrambi, e sorreggendosi l’un l’altro.