Rete Tim, ecco perché l'offerta di Kkr mette d'accordo governo, Vivendi e Cdp
Il paese si troverebbe una rete in fibra e non più in rame, i francesi vedrebbero valorizzato il loro investimento. E la Cassa avrebbe il controllo
Rete Tim, ecco perché l'offerta di Kkr metterebbe d'accordo tutti
Sensazioni, per carità. Nulla di ufficiale, anche perché da tutte le parti in causa le bocche sono più che cucite. Eppure c’è l’impressione che questa possa essere la volta buona. Parliamo, naturalmente, della rete Tim e della cessione di questo asset strategico. Tutti i partecipanti al tavolo delle trattative avrebbero qualcosa da guadagnare e molto da perdere se, per qualsiasi motivo, si dovesse decidere di non andare avanti con questa possibilità. Dopo la richiesta da parte di Kkr di una proroga dell’offerta non vincolante fino al 24 marzo – resasi necessaria perché il Governo vuole capire meglio quali sono i limiti del suo potere e in che modo può esercitare la golden power – le cose si sono messe decisamente meglio.
C’è da definire anche la modalità di acquisto. Fonti accreditate spiegano ad Affaritaliani.it che la formula che prevede una governance in capo a Cassa Depositi e Prestiti, in cambio di una quota di minoranza in stile Terna, e una gestione operativa in mano a Kkr (con la maggioranza delle azioni) sarebbe quella più efficace.
Rete Tim, c'è il rischio di infrazione della normativa Ue sugli aiuti di stato
Tra l’altro, oltre al possibile altolà da parte dell’Antitrust se Cdp decidesse di correre da sola – visto che la Cassa detiene anche il 60% di Open Fiber – ci sarebbe il rischio che l’operazione venga considerata come aiuto di stato da parte dell’Ue, sulla scorta dell’articolo 107 del TFUE (il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) che si occupa di questa fattispecie. In particolare, in questo testo si configura l’aiuto di stato qualora l’intervento pubblico falsi la concorrenza sul mercato. Se Open Fiber e la rete Tim fossero controllate da un unico soggetto sarebbe difficile immaginare una pluralità di player nello scenario.
Ma, si diceva, tutti potrebbero guadagnare dall’accelerata sulla rete. Prima di tutto Tim. Un’azienda che ha intrapreso un percorso di risalita dai gorghi in cui era finita, che ha presentato un piano industriale migliorato e la cosiddetta “guidance” in rialzo ma che rimane gravata da un debito lordo che è di 31 miliardi. Per intenderci, parliamo del doppio del fatturato (tra l’altro in crescita) che è stato annunciato ai mercati la scorsa settimana. Vendere la rete significa, finalmente, tornare a poter puntare sulla crescita, sull’innovazione e sui servizi. Un bello scenario che metterebbe la parola fine a una vicenda complicatissima iniziata un quarto di secolo fa all’epoca delle privatizzazioni (frettolose) avviate dal primo governo Prodi.
Rete Tim, quali vantaggi per il Paese e per Vivendi
Ci guadagnerebbe, e molto, il Paese. L’offerta di Kkr, infatti, valuta complessivamente 27 miliardi una rete ancora in diversi punti in rame e promette, tramite gli investimenti sull’Ebitda prevista (circa 7 miliardi che verrebbero “defalcati” dai dividendi attesi), di restituirne una interamente in fibra. E verrebbe eliminata qualsiasi perplessità anche dal punto di vista regolatorio.
Ci guadagnerebbe anche Vivendi che, come confermato dalla Consob, non ha il controllo di fatto dell'azienda. I francesi hanno fissato un prezzo di 31 miliardi e da lì non si sono più mossi. O meglio, non hanno mai più toccato il tema, di fatto “congelando” il dossier. La valutazione fatta da Kkr della rete permette di capire che l’intera Tim viene valorizzata con l’equivalente di 0,6 euro per azione. Pochi, certo, per chi ha speso in media 1,07 euro per azione per rastrellare il 24% dell’azienda (controvalore complessivo di circa 3,9 miliardi). Ma tanti se si guarda all’attuale valore di mercato: 0,3 euro per titolo. Se oggi i francesi dovessero acquistare un’analoga partecipazione a prezzi di Borsa spenderebbero circa 1,6 miliardi di euro.
Va detto, inoltre, che attualmente il titolo di Tim è iscritto a bilancio in Vivendi per un valore di cica 0,6 euro per azione. Dunque, anche da quel punto di vista i conti potrebbero quadrare. Senza contare che a novembre del 2021 la stessa Kkr fece recapitare sul tavolo del boad di Tim un’offerta da 0,505 per azione (circa 11 miliardi di euro complessivi) che fu però sepolta tra le scartoffie e lasciata “morire”. Oggi non sarebbe facile – per non dire impossibile – trovare qualcuno che faccia arrivare una cifra simile. “Auguri nel trovare un nuovo compratore con quel debito e quelle difficoltà pregresse” ha dichiarato ad Affari un analista. Dunque, anche l’idea dell’opa da parte di qualche fondo sarebbe decisamente in salita.
Né i francesi hanno alcuna intenzione di andare allo scontro con il governo italiano. Nel 2018, infatti, l’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni andò in contrasto con i piani di Vivendi, tanto da far entrare Cdp nell’azionariato insieme al fondo speculativo Elliott. E, al rinnovo dei vertici, la lista proposta proprio da Elliott ebbe la meglio, che ottenne il 49,8% dei voti in assemblea, esprimendo quindi 10 dei 15 posti del consiglio di amministrazione. L’allora ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda fu durissimo: “"Nel 99% dei casi interesse nazionale è attrarre investimenti stranieri. Ci sono rari casi in cui questi investimenti diventano predatori. E allora occorre intervenire”.
Rete Tim, l'offerta di Kkr non potrà essere ritoccata (di molto) al rialzo
A quanto risulta ad Affaritaliani.it, infine, l’offerta di Kkr nel suo complesso non potrà variare di molto. Certo, si potrebbe intervenire sulla quota cash (attualmente fissata a 10 miliardi). Ma il “grosso” rimarrebbe inalterato. Gli americani, d’altronde, che sono già azionisti del 37,5% della rete secondaria, cioè l’infrastruttura che dalle cabine a bordo strada arriva nelle case degli italiani, sanno che è Fibercop che genera i due terzi dell’Ebitda complessiva della rete. Un investimento da 1,8 miliardi cui si sono aggiunti ulteriori fondi per ammodernare l’infrastruttura. E Kkr ha sempre cercato di smorzare qualsiasi corsa al rialzo, evitando di lanciare aste che sarebbero state controproducenti.
La palla adesso passa definitivamente al governo. Con la golden power ha potere di veto su una serie di opzioni e può quindi cercare di avviare una sorta di “moral suasion” – se ritiene che quella di Kkr possa essere l’offerta giusta – nei confronti di Vivendi. L’impressione, riportano fonti accreditate, è che nessuno abbia intenzione di arrivare allo scontro e gli stessi francesi, che pure sono usciti dal board, sanno che un accordo si può e si deve trovare. I tempi, a questo punto, iniziano a stringersi. Il cda di Tim di venerdì 24 febbraio non sarà risolutivo, ma potrebbe avviare una fase di analisi dell’offerta che apra le porte a qualcosa di più concreto. La speranza di tutti è che non si butti un altro mese in “melina”. Sarebbe un peccato mortale.