Xi molla i titoli del Tesoro Usa per inguaiare Biden: minimo storico dal 2009

Dietro la mossa della Cina ci sono delle ragioni economiche, ma influiscono anche i calcoli politici viste le burrascose relazioni bilaterali con Washington

Esteri

Cina, raffica di vendite di titoli di Stato Usa: ecco che cosa c'è dietro

Era dall'ultima grande crisi finanziaria che la Cina non deteneva così pochi titoli di Stato degli Stati Uniti d'America. Significativo che accada adesso, in un momento nel quale i rapporti tra Pechino e Washington sono ai minimi termini ed è appena iniziato il terzo mandato presidenziale di Xi Jinping. Una mossa, quella di cedere ampiamente titoli di Stato americani, che ha motivazioni di tipo economico-commerciali ma anche diplomatiche-geopolitiche.

La Cina sta infatti continuando a ridurre le proprie disponibilità di titoli del Tesoro statunitensi a causa dell'aumento dei tassi d'interesse a lungo termine, che ha ridotto i rendimenti dei suoi investimenti all'estero dopo che la Federal Reserve statunitense ha accelerato l'aumento dei costi di prestito lo scorso anno. Il calo di gennaio è stato più che doppio rispetto ai 3,1 miliardi di dollari tagliati a dicembre, anche se leggermente inferiore al calo di 7,8 miliardi di dollari di novembre.

Mentre le disponibilità estere sono aumentate per il terzo mese consecutivo a gennaio, quelle della Cina sono scese a 859,4 miliardi di dollari a gennaio da 867,1 miliardi di dollari a dicembre, registrando il sesto calo consecutivo e segnando il punto più basso sin dal maggio del 2009. 

Le prime ragioni sono di natura economica e finanziaria, ma ammantate da calcoli politici. Pechino è infatti sempre più diffidente nei confronti del dominio del dollaro statunitense nelle transazioni internazionali, mentre le sue relazioni con gli Stati Uniti si sono deteriorate a causa delle crescenti minacce di sanzioni finanziarie da parte di Washington, che ha sondato il terreno in tal senso nel caso Pechino dovesse fornire delle armi alla Russia per la guerra in Ucraina.

Dietro la mossa di Xi ci sono ragioni economiche e geopolitiche

Negli ultimi 10 anni la Cina ha già ridotto le sue partecipazioni del 34,1%, compreso un taglio del 16,6% nel 2022 sulla base dei dati statunitensi, ma secondo quanto dichiarato al South China Morning Post da Zhang Ming, vicedirettore del Dipartimento di Finanza Internazionale presso l'Istituto di Finanza e Banca dell'Accademia Cinese di Scienze Sociali, esiste uno spazio "limitato" per gli investitori cinesi per vendere "volontariamente" i titoli statunitensi in grandi quantità.

La Cina sta cercando d'altronde di diversificare il suo portafoglio di investimenti, ma gli Stati Uniti rimangono per adesso ancora il suo principale mercato di investimento. Pechino ha aumentato gli acquisti di titoli del Tesoro degli Stati Uniti a partire dal 2000, ma il suo acquisto ha raggiunto il picco nel 2014, scendendo sotto la soglia simbolica di mille miliardi di dollari nell'aprile del 2022. 

A differenza della Cina, l'altro gigante asiatico ha adottato una politica opposta. Il Giappone ha infatti detenuto 1,104 trilioni di dollari statunitensi a gennaio, rispetto ai 1,076 trilioni di dicembre, mantenendo il suo posto di maggior detentore estero a spese della Cina dopo il sorpasso di qualche mese fa.

A incidere sulla manovra cinese ci sono anche ragioni geopolitiche. I legami tra Pechino e Washington si sono di nuovo drammaticamente inaspriti dopo la vicenda del presunto pallone-spia a febbraio. La scorsa settimana il presidente Xi Jinping ha accusato direttamente gli Stati Uniti di guidare altre nazioni occidentali a reprimere lo sviluppo della Cina e il ministro degli Esteri Qin Gang ha avvertito Washington che senza un cambio di approccio si rischia di arrivare a un conflitto.

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