Migranti, Tunisia nel caos e l'Ue non trova la quadra: bloccati gli aiuti

La commissaria europea per gli Affari interni Yiva Johansson è volata in Tunisia per risolvere la questione migranti ma qualcosa è andato storto

di Vincenzo Caccioppoli
sbarco migranti Libia a Brindisi
Esteri

Emergenza migranti, Johansson è partita senza i ministri degli Interni di Italia, Francia e Germania. L'Ue ha deciso di bloccare la tranche di aiuti. Analisi 

Il 27 Aprile la commissaria europea per gli Affari interni Yiva Johansson è volata in Tunisia. Ma la missione europea per cercare di risolvere la questione tunisina è comunque miseramente fallita. Johansson, infatti, è partita senza i ministri degli Interni di Italia, Francia e Germania, che un mese fa avevano annunciato la missione e che però hanno poi deciso di annullare la partenza viste le scarse rassicurazioni ottenute dal presidente tunisino Saied. Situazione che ha convinto le istituzioni europee a bloccare la tranche di aiuti, in attesa che il governo tunisino accetti le condizioni poste dal Fondo monetario internazionale.

Ancora una volta insomma l’Europa, di fronte ad una situazione che ormai rischia di diventare fuori controllo, con una nuova probabile invasione di migranti verso le coste europee (e in primis verso quelle italiane) si è mostrata divisa, incerta e spaccata. La premier Giorgia Meloni, che anche in questo caso ha mostrato una lungimiranza e una visione che purtroppo sembra mancare alla gran parte degli altri leader europei, da settimane sta cercando di sensibilizzare le istituzioni europee su questa gravissima crisi, che sta riguardando il paese nord africano, ma senza riuscire a smuovere troppo un'Europa incapace di comprendere le conseguenze che un ulteriore peggioramento della situazione in Tunisia avrebbe sul continente europeo. 

La Tunisia, fino a non molto tempo fa l'emblema della primavera araba, sta crollando sotto i colpi di una crisi economica senza precedenti che rischia di generare un esodo senza precedenti verso le coste europee. Il presidente Karis Saied, che è stato eletto nel 2019, ha preso la maggior parte dei poteri nel 2021, chiudendo il parlamento eletto e sostituendo il governo prima di passare a governare per decreto e riscrivere la costituzione. Molti osservatori affermano che Saied avrebbe smantellato la democrazia e le libertà, conquistate in una rivoluzione del 2011 che ha innescato la primavera araba. 

L'Italia vuole che il Fondo monetario internazionale sblocchi un prestito di 1,9 miliardi di dollari alla Tunisia, temendo che senza i contanti il paese venga destabilizzato, scatenando una nuova ondata di migranti verso l'Europa. I colloqui di salvataggio della Tunisia con l'Fmi sono in stallo da mesi, con gli Stati Uniti, tra gli altri, che chiedono a Saied riforme di vasta portata per liberare denaro. Il paese sembra in preda al caos con il presidente che viene accusato di essere autoritario e di non voler mettere mano alle riforme necessarie che chiede l’Fmi per risollevare l’economia del paese, che non si è piu ripresa dal crollo del turismo, prima industria del paese, derivato dallo scoppio della pandemia di Covid.

Le richieste del Fondo monetario Internazionale sono state fin da subito molto chiare: sostituire le sovvenzioni dirette dei prodotti alimentari e di servizio con aiuti diretti alle famiglie, con l’intento di eliminarle definitivamente nel 2024; la riduzione della massa salariale nel settore pubblico, uno degli elementi cardine del sistema nazionale tunisino ed esplosa durante la pandemia nel settore della sanità; programmi di pensionamenti anticipati o di lavoro part time. Tutte riforme che per ora sono rimaste nel cassetto e che bloccano i fondi da 1,9 miliardi di euro.

Negli ultimi anni, il regolare declassamento del credito tunisino da parte delle agenzie di rating internazionali è stato un elemento ricorrente del calendario politico del Paese. L'ultimo giorno di settembre, Moody's ha debitamente obbligato sottoponendo a revisione per il declassamento di rating Caa1 a lungo termine in valuta estera e in valuta locale del governo tunisino. Ha inoltre sottoposto a revisione per declassamento il rating non garantito Caa1 della Banca centrale tunisina.

La spesa salariale statale è raddoppiata e oggi rappresenta il 15,4% del Pil. I sussidi per qualsiasi cosa, dal pane alla benzina, aggiungono un ulteriore 15,1%. Gli investimenti statali sono crollati e gli standard in materia di istruzione e sanità stanno diminuendo rapidamente. Il tasso di inflazione è stabilmente al 10%, quello di disoccupazione è superiore al 15% e il debito pubblico sfiora ormai il 100% del Pil. Cifre che si riversano nel potere di acquisto dei tunisini, da anni in forte calo, nell’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e nelle debolezze interne dello Stato, sempre più in difficoltà nel garantire le importazioni necessarie a fare funzionare il sistema Tunisia. Questo situazione unita alla forte instabilità politica, provoca come conseguenza quella di alimentare il desiderio di un numero sempre maggiore di tunisini di abbandonare il paese, per cercare fortuna in Europa.

Secondo i dati delle Nazioni Unite, 12.000 persone hanno raggiunto l'Italia finora quest'anno salpando dalla Tunisia, rispetto alle 1.300 nello stesso periodo del 2022. Anche le vittime dei naufragi sono aumentate drasticamente, con decine di morti in mare nelle ultime settimane. E di fronte a tutto questo l’Europa è sorda, ed anzi la Francia ha pensato bene in queste ore di rafforzare i presidi di polizia alla frontiera con il nostro paese, dimostrando come al solito, il solito egoismo che da sempre caratterizza la Francia non solo sul tema migranti.

L’Italia ha cercato di muoversi seguendo il progetto di mettere in campo una riedizione del piano Mattei, tanto caro alla nostra premier, che prevede proprio di aiutare paesi africani in difficoltà per prevenire i flussi migratori incontrollati. Il suo viaggio in Etiopia, altro paese da tempo in grave crisi economica, due settimane fa ne è la riprova. All’ultimo Consiglio europeo le sue parole sono state nette "Se la Tunisia crolla del tutto, si rischia una catastrofe umanitaria con 900 mila rifugiati".

Ma al di là di qualche parola di circostanza da parte del presidente francese Macron e dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, in concreto, come si è visto in queste ore, passi avanti non ne sono stati fatti. Ed è proprio questa totale mancanza di una strategia comune europea in politica estera, che sta relegando il continente europeo ai margini del contesto geopolitico internazionale, permettendo a paesi come la Turchia di Erdogan, la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping, di allargare la propria influenza in tutta la fascia assai strategica del Maghreb e dell'Africa subsahariana, in cui invece, sia per motivi storici che geografici, l’Europa dovrebbe giocare un ruolo centrale.

 

 

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