Clima pazzo, Mercalli: "La crisi segue la fisica. Obiettivi Onu inarrivabili"
Mentre le stagioni cambiano colore e temperatura, cresce la preoccupazione su come arginare la crisi climatica: Affari fa il punto con l'esperto Luca Mercalli
Caldo record e ottobre anomalo, il 2022 si potrebbe già etichettare come l'anno dei record: i dati
Il 2022 si potrebbe già etichettare come l’anno dei record. Almeno sotto il profilo climatico. Se da una parte l’inverno trascorso è stato il sesto più secco degli ultimi 63 anni, con un’anomalia termica di +0.8°C e un deficit pluviometrico pari a -32% (quasi 16 miliardi di metri cubi di acqua in meno), dall’altra la bella stagione non ha poi regalato un sano ritorno alla normalità. Tutt’altro. Le temperature record hanno fatto registrare l’estate più siccitosa degli ultimi 500 anni in Europa.
Ma non solo. L’Italia si lascia alle spalle l’ottobre più caldo di sempre, con temperature superiori di 8-10 gradi rispetto alla media del periodo. Nel complesso, secondo Bernardo Gozzini, direttore del consorzio Lamma, in base agli ultimi dati pubblicati da Cnr-Isac, a oggi il 2022 è l'anno più caldo mai registrato dal 1800. L'aumento delle temperature è stata di quasi un grado centigrado più alto (0.96 °C) rispetto alla media calcolata nel trentennio 1990-2020.
Temperature anomale e clima "pazzo": intervista di Affaritaliani.it al climatologo Luca Mercalli
Di fronte a questi numeri record, è inevitabile porsi qualche (preoccupante) interrogativo. Il cambiamento (climatico) d’altronde è sempre più visibile. Ma che cosa si cela dietro a questi sbalzi? E che cosa possiamo fare, nel concreto, per superare tale impasse storico? Affaritaliani.it ha interpellato Luca Mercalli, presidente dell'associazione Società metereologica italiana, climatologo, nonchè giornalista e divulgatore, che fa il punto con noi su questo clima pazzo.
Costume da bagno, occhiali da sole e domeniche sotto l’ombrellone: si è concluso un ottobre alquanto secco e caldo, soprattutto al Sud dove sono state raggiunte punte di 28-30 gradi. Quanto sono state anomale queste temperature?
Partiamo dalla bella stagione. L’estate 2022 è ormai passata negli archivi come l’estate più calda della storia in Europa occidentale: in Italia è la seconda più calda a pari merito con quella del 2003. Possiamo dire che siamo di fronte a un’anomalia a scala continentale, estremamente pesante a livello statistico: non stiamo parlando di una piccola aerea, bensì di qualcosa di molto più grave. E lo stesso si è ripetuto con l’autunno in particolare con ottobre: il mese più caldo della storia a livello europeo, non solo italiano, se confrontato con gli ultimi 270 anni di dati.
Quali sono state le cause? È tutta colpa del riscaldamento globale?
Insomma, questi numeri ci confermano il trend al riscaldamento globale che ovviamente non riguarda solo l’Italia, bensì l’intero Pianeta. Queste anomalie colpiscono a turno un po’ tutti i luoghi: questa è stata la volta dell’Europa, prima della Cina, l’anno scorso del Canada. Sappiamo ormai che questa è la manifestazione più evidente del surriscaldamento: tutti gli studi dimostrano che se non ci fosse stato, queste irregolarità non si sarebbero presentate, o sarebbero state molto meno intense, come per esempio i 40 gradi a Londra il 19 luglio.
Ma l'estate prolungata, se non per qualche sprazzo di freddo al Nord, non sembra del tutto terminata. In settimana, secondo gli esperti, un nuovo anticiclone spingerà aria calda verso la Scandinavia con temperature di 15°C più calde della media del periodo. Che stagione invernale ci attende? Niente settimana bianca?
Per quanto riguarda la stagione invernale è ancora troppo presto per fare previsioni: sono stati realizzati degli scenari, ma non sono ancora attendibili. C'è di vero che per i prossimi quindici giorni non si prospetta nessun segnale di miglioramento, il freddo all'orizzonte non si vede. Fino a fine mese niente svolta invernale.
Il più recente rapporto redatto dall’Organizzazione Meterologica Mondiale sottolinea che se la tendenza al surriscaldamento dovesse proseguire, tra caldo eccezionale, alluvioni e incendi, gli impatti su società, economia ed ecosistemi, non sarà indifferente. Per cambiare qualcosa è già “troppo tardi” o c’è ancora tempo?
Gli scenari climatici è da almeno degli anni ‘90 che dicono che questo è ciò che ci aspetta: non stiamo facendo altro che constatare, anno dopo anno, l’infittirsi dei fenomeni estremi. Semmai possiamo dire che siamo in grande ritardo, sia nella consapevolezza - ancora oggi il tema del cambiamento climatico continua a essere accettato dalla società in maniera controversa, abbiamo ancora tante persone scettiche che non si fidano dei dati scientifici, come i negazionisti- sia nell'azione concreta. L'Italia, per esempio, ha redatto (già nel 2014) la sua strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, ma di fatto è rimasta nel cassetto del Ministero dell'Ambiente.
Di fronte a questa "nuova normalità" come dobbiamo attrezzarci per tutelarci?
Difendere un territorio dalla siccità significa investire negli acquedotti, gestire le alluvioni vuol dire lavorare sulla manuntenzione del territorio, per rendere le città più resilienti sul fronte del calore bisogna piantare più alberi, cambiando la logica urbanistica. Progetti che non si fanno in emergenza e in una notte, bensì si pianificano in decenni di lavoro. Per non parlare della tutela delle coste e dell’innalzamento del livello del mare. Un problema che toccherà molto da vicino l'Italia (Paese con 8mila km di costa) a partire da Venezia e dal Delta del Po.
A Sharm El Sheik, in Egitto, si è aperta la Cop27, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che sta già rimettendo di fatto sul tavolo dello scacchiere internazionale la questione energetica e la crisi climatica, lasciate in sospeso a Glasgow 2021. Che cosa aspettarsi?
Mi aspetto poco, se non di meno rispetto alle conferenze passate, a causa della guerra in Ucraina. Già la Cop26 di Glasgow 2021 aveva raccolto poco risultati, fondamentalmente dettagli che migliorano l’applicazione dell’accordo di Parigi, rifiniture burocratice dell’accordo. Non si riesce mai ad avere una vera svolta, un impegno che sia una dichiarazione di emergenza da parte di tutti i Paesi del mondo, di un lavoro compatto verso la riduzione delle emissioni. Sono momenti di negoziati estenuanti. Quest'anno non mi aspetto una settimana di risultati eclatanti. Si raccoglieranno altri piccoli passi, che però non sono compatibili con la velocità del cambiamento di tipo fisico: quello segue le leggi fisiche, non i nostri ritardi.
Sul fronte interno i toni sembrano chiari e decisi. Lunedì 7 novembre la premier Giorgia Meloni ha detto che l’Italia “farà la sua parte”, rispettando il taglio del 55% delle emissioni entro il 2030. L'obiettivo è ancora plausibile e soprattutto raggiungibile?
Un obiettivo raggiungibile, se ci fosse un atteggiamento corale che però non vedo. Con le parole si fa sempre tutto. Sono trent’anni che sento queste dichiarazioni, quello che contano sono poi i fatti. In tal caso: kilowattora, tonnellate ed ettari. Ma né i pannelli solari, né le pale eoliche e né il risparmio energetico, purtroppo, sono la priorità. Ciò che vedo è una stasi, una stagnazione, nella quale il tema climatico è marginalizzato dalle contingenze quotidiane. Per fare ciò che Meloni avrebbe detto a parole dovremmo vedere mobilitarsi 60 milioni persone che al mattino si alzano con un unico scopo: abbattere la crisi. Altrimenti in sette anni agli obiettivi Onu non ci arriviamo.