Lilli la rossa e il vizio boldriniano di storpiare le parole
La supercazzola della parità linguistica
Lilli Gruber e la parità linguistica
Dietlinde Gruber, detta “Lilli”, è una donna di sinistra dal nome nibelungo e dei tedeschi ha preso sicuramente la determinazione. Figlia di Alfred, nasce a Bolzano in una famiglia di lingua tedesca dell’Alto Adige. Il padre è un imprenditore di macchine per l’edilizia.
Si diploma dalle suore Marcelline. Poi, come molti tedeschi, viene proiettata a Venezia, vera città mitteleuropea, dove si laurea in lingue. Dopo aver scritto su L’Adige entra in Rai occupandosi del Tg regionale in lingua germanica.
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Nel 1986 Antonio Ghirelli, che fu anche direttore de l’Avanti! la vuole al Tg2 serale e Lilli comincia a farsi notare. Capelli rosso fuoco, assume pose anomale ed aggressive per un mezzobusto e cioè di tre quarti profilata. Nel 1990 è al Tg1.
Nel 2004 è candidata per l’Ulivo dopo aver fatto una campagna contro Berlusconi. Eletta, si iscrive al gruppo del Partito Socialista Europeo. Dal 2008 conduce “Otto e mezzo” su LA7. Dal 2012 non si perde una sola edizione delle riunioni del molto chiacchierato Gruppo Bilderberg.
Si tratta di una riunione di circa 130 partecipanti che rappresentano i mondi della politica, delle banche e dell’economia. Insomma l’élite mondiale del Potere, con la “P” maiuscola. Una sorta di ONU privata in cui si cerca di influenzare l’andazzo del mondo. I temi trattati riguardano l’intera umanità.
Il fatto che la conferenza sia chiusa al pubblico e non si possano poi citare le fonti, ha dato luogo a moltissime polemiche favorendo anche teorie complottiste che trovano il loro riferimento al libro “Club Bilderberg”, scritto da Daniel Estulin. Attualmente (2023) nel comitato direttivo per l’Italia c’è John Elkann, presidente di Stellantis. Per fare qualche altro nome c’è anche José Barroso attuale presidente di Goldman Sachs e già presidente della Commissione Europea.
Uno dei tratti distintivi della Gruber è quello di infischiarsene delle critiche e quindi anche per la questione Bilderberg ha sempre fatto orecchie da mercante, anzi da mercantessa. E le orecchie ci permettono di parlare di un altro tema scottante per lei.
Da poco è infatti scoppiato il “caso orecchini” e cioè la pubblicità occulta ad una nota ditta di costosissimi gioielli che la giornalista mostra impunemente penzolare dalle sue candide propaggini, non dicendo però che si tratta di una iniziativa commerciale. L’Ordine dei giornalisti del Lazio, nella figura del suo presidente Guido D’Ubaldo, sta indagando e vuole segnalare la cosa al Consiglio di Disciplina.
Nell’ultimo numero del settimanale “7”, che esce il venerdì insieme al Corriere della Sera, “Lilli la Rossa” si è lanciata in una intemerata similboldrinesca per la parità linguistica affermando che ancora non ci siamo, perché i termini delle professioni importanti sono ancora –a suo dire- declinate al maschile. E così parte di esempi. C’è dottoressa, studentessa, vigilessa, professoressa ma non ancora sindachessa, presidentessa o presidenta, capessa e via boldrinando.
Insomma, la giornalista vuole dire che nelle professioni che contano veramente il termine femminile non si usa. Dietro a questa pretesa di storpiamento linguistico della lingua italiana però c’è una Weltanschauung, una visione del mondo, profondamente conflittuale. Il nemico è sempre il “maschio”, anzi il “maskio” cattivo e patriarcale che vuole dominare sulla femmina sottomessa.
Le cose sono cambiate da tempo e il delicato equilibrio del potere di genere-semmai- si è spostato proprio dalla parte femminile. I poveri maschi sempre più spesso si sentono dire proprio dalle donne che: “Non esistono più gli uomini di una volta”.
Il che è vero. Ma sono stati distrutti proprio dal femminismo del tipo di quello della Gruber. La vera parità dei sessi non è conflittuale ma collaborativa, nel rispetto dei ruoli. Ad esempio, il considerare i transessuali maschi come delle donne sta già provocando guasti irreparabili. Nello sport cominciano ad essere vietate le competizioni ai trans perché le donne vere perdono regolarmente, visto che l’apparato muscolare dei maschi finte femmine è molto più potente.
E poi c’è una visione politica a monte completamente sfasata. Ad esempio, Giorgia Meloni, per una di quelle meravigliose ironie della Storia è stata la prima donna a divenire Capo del governo.
Non una femminista di sinistra ma una donna di destra. Eppure la prima cosa che ha chiesto, con una nota ufficiale di Palazzo Chigi, è stata quella di essere chiamata “presidente” al maschile e non “presidentessa” o “prima ministra”. Le donne in gamba non hanno bisogno di storpiare i nomi, il potere se lo prendono da sole, magari proprio perché “non le hanno viste arrivare”, con buona pace di Lilli la Rossa.