Perché il Gruppo Gedi non cita Affaritaliani.it nei suoi articoli?
Nello stesso giorno, per due volte, Stampa e Repubblica hanno "attinto" dai contenuti di Affari senza citare la fonte
Il Gruppo Gedi riprende Affaritaliani.it senza citarlo: perché?
Giornalini e giornaloni, figli e figliastri, Davide e Golia. Scegliete voi l’accoppiata che preferite. Ma è certo che da una parte ci sono le grandi testate del gruppo Gedi, Stampa e Repubblica in testa, che rimangono dei colossi dell’editoria. Certo, visti i grattacapi del loro editore di riferimento, magari in questi giorni avranno qualche difficoltà in più a concentrarsi. E la svista, si sa, è dietro l’angolo. Però questo caso che stiamo raccontando è duplice e ingeneroso. Merita, dunque, di essere segnalato. Brevemente i fatti: nella giornata di ieri, 8 dicembre, nonostante il freddo e il clima di Festa, la nostra redazione ha fatto quello per cui ogni singolo giorno si reca qui in Via Eustachi a Milano: cercare notizie, verificarle, scriverne.
Succede dunque che il bravo Alberto Maggi, colonna storica di Affari, intervisti il sottosegretario Claudio Durigon. Il quale sostanzialmente gli dice che per aumentare le pensioni minime non ci sono i quattrini. Il Corriere che oggi trovate in edicola riporta, fedelmente, la fonte di questa affermazione. Così fanno anche altri quotidiani. La Stampa no. Prende l’affermazione di Durigon e le affibbia (si veda screenshot) un generico “sostiene”. Sì, ma sostiene con chi? Davanti allo specchio? In un bar? Nossignore, l’ha fatto sollecitato dalle domande di Maggi, che si è limitato a fare il suo lavoro: porre le domande, giuste, e scrivere la risposta.
Ma sarà stata una svista. Succede e succederà. Poche ore dopo però il copione si ripete. Questa volta il nostro Marco Scotti sviluppa una (bella) inchiesta di Repubblica – citandola nella prima parola del suo articolo – sulle richieste di Giuseppe Conte ai transfughi del Movimento 5 Stelle. Fa domande, cerca in giro e ottiene da fonti vicine a Luigi Di Maio alcune ulteriori indiscrezioni, che completano il pezzo del quotidiano diretto da Maurizio Molinari. Anche in questo caso, l’articolo viene scritto, verificato, confezionato. Solo che questa mattina Repubblica online, nell’aggiornare il suo pezzo, riesce in un capolavoro di autopromozione: ribadisce, giustamente, di essere l’artefice della notizia ma dimentica di citare chi quella news l’ha sviluppata.
Si legge, infatti, che l’ex ministro degli Esteri “ha fatto sapere”. Ma ha fatto sapere a chi? Agli amici? Al barbiere che prontamente l’8 dicembre era disposto a sistemare il ciuffo di Di Maio? Di nuovo: nossignore. È stato il giornalista che ha scavato, verificato, trovato. Dunque a che gioco giochiamo? Il grande può deliberatamente “mangiare” dal piatto del più piccolo? Così non è sportivo. La squadra su cui può contare Molinari è di primissimo piano, come dimostra l’inchiesta che Affari ha letto e ha voluto, ulteriormente, approfondire. Basterebbe così poco, a volte, per ridare al mondo dei media una parvenza di “civiltà” nonostante le difficoltà che incontra quotidianamente. Sarebbe sufficiente, come Affari fa ogni giorno, citare la fonte. Raccontare da dove proviene quella notizia. Si tratta del rispetto basilare dei colleghi e della professione. E facciamolo questo sforzo, suvvia.