Stefano Feltri, dal potere al tempo libero. Il declino del direttore defenestrato da De Benedetti

La "nuova vita" dell'ex direttore del Domani brutalmente mandato via dal "suo" giornale dall'Ingegnere

Di Giuseppe Vatinno
Stefano Feltri
MediaTech

Il declino di Stefano Feltri, l'ex direttore del Domani defenestrato da De Benedetti

Il suo è un cognome pesante nel mondo del giornalismo. Infatti il pensiero corre subito a Vittorio Feltri ma poi torna indietro perché Feltri di figlio “scapestrato” ne ha già uno, Mattia, che è il direttore del sinistro HuffPost, noto per la tecnica “devilishly brilliant” ("diabolicamente brillante") che consiste nel pubblicare due titoli contemporaneamente dello stesso articolo e di prediligere quello che ha attirato più lettori. Puro darwinismo editoriale stile USA. Ma torniamo al Feltri che ci interessa.

Si tratta di Stefano, classe 1984, di quel di Modena, terra padana di tortelli e canarini. Si laurea alla Bocconi e comincia a scrivere, ovviamente, per la Gazzetta di Modena. Rimbalza, come da prassi, in alcune redazioni come Radio24Il FoglioIl Riformista. Il colpaccio lo fa nel 2009 entrando al Fatto Quotidiano dove si occupa di economia. Intanto il ragazzo bazzica pure Rai Radio 3 e approda financo da Lilli la Rossa, al secolo Lilli Gruber (la dieresi non la mettiamo, Sua Bolzanità ce lo concederà).

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Marco Travaglio lo nota per una buona dose di manettarietà che a lui piace sempre e così, quando diventa direttore nel 2015, lo nomina suo vice al Fatto Quotidiano. Resterà in tale posizione fino al 2019. Nel marzo del 2017 si è recato a intervistare il presidente siriano Bashar al-Assad ma mal gliene incolse perché è stato criticato per “aver fatto da megafono” ad un dittatore. Nel 2019 ha frequentato il raduno segreto del segretissimo gruppo di Bilderberg, a cui, guarda caso, partecipa sempre pure la Gruber con cui lui ha lavorato.

Alla rituale domanda di cosa si sia parlato – il raduno è a porte chiuse - lui risponde da vero birbaccione: “siamo stati a cogliere quadrifogli celtici con il nostro falcetto d’oro”. E ride. Dopo l’inevitabile, per un Bocconiano, soggiorno a Chicago per un Master tardivo di economia ha continuato a collaborare dagli Usa con Il Fatto.

Ma il supercolpaccio lo fa nel maggio 2020, in piena pandemia. Tutto il mondo è fermo in lockdown e lui che ti fa? Diventa direttore di Domani, il nuovo quotidiano di Carlo De Benedetti, chiamato da alcuni “la Repubblica dei poveri, per il fatto che quello vero all’Ingegnere glielo hanno fregato i figli e per sovrappiù lo hanno venduto agli Agnelli.

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E poi il dramma: nell’aprile 2023 viene defenestrato brutalmente e sadicamente dall’Ingegnere stesso. La direzione passa al giornalista investigativo Emiliano Fittipaldi, già autore di memorabili inchieste per l’Espresso, come quella del 2016 sui collaboratori del Sindaco di Roma Virginia Raggi che portarono all’arresto del costruttore Sergio Scarpellini e Raffaele Marra.

Quindi Feltri da aprile è disoccupato ma uno come lui non si perde d’animo e così ha cominciato a scrivere lettere e articoli per il Corriere della Sera, non quello vero, ma per Style Magazine che è un settimanale che Cairo appioppa obbligatoriamente ogni dannato giovedì e che non legge nessuno. Ieri è uscito un suo mesto e malinconico articolo in cui descriveva accuratamente la sua trombatura inaspettata ad opera di Carlo De Benedetti.

Descrizione conradiana, a tinte fosche, in cui Feltri racconta alla maniera di Seneca la perdita improvvisa del potere anzi del Potere a causa dell’hybris che lo aveva colpito dopo l’inaspettata nomina. Stefano è affranto. Stefano non riesce a capire. Forse ricorda la prestigiosa sede di via Barberini 86, a Roma. Ricorda il traffico, il bel colore del sole che spalmava al tramonto raggi obliqui sui palazzi antichi, ricorda i meravigliosi caffè presi con i Potenti del vicino Parlamento.

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Ricorda le sue giacchette leggere, i massaggi alle guanciotte fatte dal barbiere per ricchi, proprio dietro l’angolo, la lozione rinfrescante al bergamotto, le premure dei sottoposti, il cioccolatino all’anguria etiopica che la segretaria gli faceva sempre trovare sulla scrivania. Bei tempi, pensa. Ricorda il brivido del Comando e lui che guardava pensoso e saggio il lento scorrere del traffico dal finestrone centrale, pericolosamente vicino a quello de Il Messaggero.

E poi si accorge che è tutto svanito. Nessuno se lo fila più. Il portiere non lo guarda neppure e la pesante porta d’ingresso ora se la deve aprire da solo. E il cioccolatino all’anguria? “So’ finiti!” gli risponde un rude vocione da una stanza attigua.

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E così nell’articolo ci sciorina malinconiche riflessioni sul fatto che, in definitiva, il tempo che ha recuperato non avendo più una cippa da fare è una cosa positiva, buona per lo spirito. Fuori dalle tensioni lavorative ora può contemplare le bellezze della natura, le farfalle, qualche raro scoiattolo, e i moltissimi ratti che allietano i bei parchi romani. Che bello pensare al tanto tempo che ora ha di fronte. Lo può ghermire, lo può fare suo. 

Conquista una panchina e la difende da un barbone invidioso. Quello molla la presa e lui si siede sfogliando quello che fu una volta il suo giornale. Il tempo è un valore, scrive su Style. I giovani disoccupati infatti lo hanno sempre saputo. Ora lo è anche lui. Un gocciolone si fa strada sulla gota non più allietata dal bergamotto, mentre guarda il cellulare che non squilla…

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