Lo scioglimento delle Camere? Deve spettare al Primo Ministro

Pesi e Contrappesi della riforma sul premierato. L'analisi di Paolo Becchi e Giuseppe Palma

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma
Politica

L’obiettivo è quello che, chi va a votare, deve sapere che il suo voto sarà decisivo non solo per l’elezione del Parlamento ma anche per la designazione di colui che determinerà la politica di governo

Il premierato è una variante della forma di governo parlamentare e può assumere diverse connotazioni. Ciò che lo contraddistingue rispetto alla forma “pura” del governo parlamentare è il fatto che il Presidente del Consiglio dei ministri, da primus inter pares (primo tra i suoi pari), assume le vesti di premier, cioè di Primo Ministro; dunque, non uguale ai suoi pari (ai ministri). Nel premierato il Primo Ministro ha un ruolo preminente rispetto a questi, soprattutto nella determinazione (e non più nella semplice direzione) della politica di governo.

Detto ciò, il funzionamento e la struttura possono mutare a seconda delle esigenze di ciascuno Stato in determinati periodi storici. Facciamo un esempio. In Gran Bretagna, dove la Costituzione non è scritta ma tramandata per consuetudine, il Primo Ministro nomina e revoca i ministri, e la sua figura, benché nominata ufficialmente dal Re, coincide con quella del leader del partito che ha preso più voti alle elezioni politiche, indipendentemente dall’avere o meno alla Camera bassa la maggioranza assoluta. Il motivo è semplice: non esistendo il voto di fiducia iniziale, il governo si regola di provvedimento in provvedimento, e quando non c’è il numero sufficiente per approvare un decreto dell’esecutivo, alcuni membri dell’opposizione escono dall’aula per riequilibrare i rapporti di forza nel rispetto della volontà popolare.

Quando il Primo Ministro si dimette, di solito lo fa perché non ha più il sostegno del suo partito; dunque, la palla passa non al Re, ma al partito stesso, che decide se rimpiazzare il premier con un nuovo premier oppure tornare alle urne. In Gran Bretagna la quasi totalità dell’iniziativa legislativa è esercitata dal governo e dal Primo Ministro, che ha anche il potere di chiedere al Re di sciogliere la Camera bassa prima della naturale scadenza di legislatura (potere abrogato con il Parliaments Act 2011 ma ripristinato nel 2022). Il funzionamento del Premierato inglese è favorito  da una legge elettorale maggioritaria con i collegi uninominali a turno unico.

Una forma di premierato esiste anche in altri Paesi, come ad esempio in Spagna, ma funziona in modo un po’ pasticciato a tal punto da essere un ibrido. A parte l’istituto della sfiducia costruttiva (cioè il Parlamento che sfiducia il Primo Ministro ma con una soluzione alternativa già pronta), che è condivisibile, il Presidente del Governo di Spagna (così si chiama) deve ottenere la fiducia iniziale dal Congresso dei deputati, un meccanismo che di per sé svilisce il Premierato perché lega esecutivo e parlamento ad un rapporto di fiducia continuativo, tipico delle forme di governo parlamentari pure.

In Germania c’è invece il cancellierato. Il Cancelliere è costretto – anche a causa di un sistema elettorale proporzionale – ad individuare dopo le elezioni una maggioranza parlamentare che ufficializzi il programma di governo e gli accordi la fiducia. E questo comporta a volte interminabili discussioni prima della formazione dell’esecutivo e della redazione del programma di governo (che lì si chiama “contratto di governo”) tra il primo partito – quello che ha ottenuto più voti alle elezioni e che dunque solitamente esprime il Cancelliere – ed altre forze politiche del Bundestag. Anche in Germania c’è l’istituto della sfiducia costruttiva.

Una delle critiche mosse al premierato è il mal funzionamento di quello israeliano, ma lì c’è una legge elettorale proporzionale (solo da poco è stata introdotta una soglia di sbarramento), per giunta senza preferenze. Il premierato, occorre dirlo, mal si confà con un sistema elettorale proporzionale perché non lega (direttamente o indirettamente) la figura del premier al voto popolare.

Il dato di fatto saliente delle esperienze dei Paesi visti sinora è che non esiste governo senza la partecipazione del partito che ha ottenuto più voti alle elezioni (che dunque ha una golden share nella formazione dell’esecutivo), anche se non ha la maggioranza assoluta in Parlamento. Una prassi ormai consolidata che rispetta la volontà popolare. Modelli di questo tipo, in Italia, però non funzionerebbero. Il partito che alle urne ha ottenuto la maggioranza relativa finirebbe spedito all’opposizione, come già accaduto diverse volte dal 1994 ad oggi.

Ecco alcuni esempi: 1) Forza Italia dal gennaio 1995 all’aprile 1996 finì all’opposizione nonostante la vittoria elettorale nel marzo 1994; 2) il M5S è stato cinque anni all’opposizione (dal 2013 al 2018) nonostante alle elezioni politiche del febbraio 2013 risultò il partito più votato; 3) la coalizione di centrodestra è stata all’opposizione dal settembre 2019 al febbraio 2021 nonostante avesse ottenuto più voti alle elezioni politiche del 2018.  In tradimenti della volontà popolare siamo i più esperti d’Europa.

Qui da noi serve un modello differente, tipizzato in Costituzione, che eviti ribaltoni dovuti a giochetti di palazzo che sviliscono la volontà popolare. L’obiettivo è quello che, chi va a votare, deve sapere che il suo voto sarà decisivo non solo per l’elezione del Parlamento ma anche per la designazione di colui che determinerà la politica di governo.

Abbiamo già scritto su questo giornale pochi giorni fa sul percorso tecnico, e dunque sulle procedure, per giungere al premierato. Qui di seguito, invece, presentiamo una nostra proposta di premierato che potrebbe andare bene all’Italia e sulla quale speriamo si possa aprire una discussione.

Elezione del premier. Diretta o indiretta? Si può prevedere che la nuova Costituzione obblighi le liste o coalizioni di liste ad indicare espressamente nel programma elettorale presentato al Ministero dell’Interno prima delle elezioni, il nome della persona indicata a ricoprire la carica di Primo Ministro, obbligando altresì il Capo dello Stato a nominare premier la persona in tal senso indicata dalla lista o coalizione di liste che ha ottenuto più voti nelle urne (in tal caso saremmo di fronte all’elezione indiretta perché non sussisterebbe l’obbligo di indicare il candidato premier sulla scheda elettorale, come avviene ad esempio nell’elezione dei sindaci).

Per fare questo occorre una legge elettorale maggioritaria: non necessariamente quella all’inglese (sistema dei collegi uninominali a turno unico), andrebbe bene anche un proporzionale con preferenze e premio di maggioranza alla lista o coalizione di liste che superi una certa soglia percentuale di voti (in linea con le indicazioni della Corte costituzionale, sentenza n. 1/2014). Non siamo dunque d’accordo con la figura nuda e cruda del “Sindaco d’Italia”. I sindaci godono di un potere immenso, sostanzialmente senza contrappesi: a) non possono essere sfiduciati dai consigli comunali; b) sono obbligati a dimettersi solo in caso di dimissioni della metà più uno dei consiglieri comunali oppure quando manchi la maggioranza assoluta in materia di bilancio e urbanistica; c) esercitano il potere di emettere gran parte delle ordinanze senza la necessità che le stesse siano approvate dai consigli comunali. Nel piccolo può andare, ma non vogliamo podestà anche a Roma.

Fiducia iniziale. Sì o No? No. Un Primo Ministro che goda della legittimazione popolare (anche col sistema indiretto che abbiamo delineato sopra) non necessita della fiducia iniziale da parte delle Camere. Davvero, non avrebbe senso. Il Primo Ministro deve poter liberamente nominare e revocare i ministri e presentarsi alle Camere per illustrare il suo discorso programmatico, senza il voto di fiducia iniziale. Ci ha già pensato il popolo a legittimarlo, per quale motivo dovrebbero farlo anche le Camere? A che titolo, visto che le Camere traggono legittimazione dal medesimo corpo elettorale?

Con l’assenza del voto di fiducia iniziale il Primo Ministro – come accade in Gran Bretagna – non deve preoccuparsi di raffazzonare voti in Parlamento o fare contratti di governo come succede in Germania. Il problema politico sorgerà semmai successivamente, a seconda dei numeri in Parlamento. Ecco perché, affinché il premierato funzioni, occorre evitare sistemi elettorali proporzionali che non prevedano premi di maggioranza.

Scioglimento delle Camere. Se il perno della nuova forma di governo gravita attorno alla figura del Primo Ministro, lo scioglimento delle Camere deve spettare al Primo Ministro. Attribuire tale potere nuovamente al Capo dello Stato aprirebbe a soluzioni pasticciate che, solitamente, tendono a ribaltoni, con il partito di maggioranza relativa che finisce all’opposizione. Occorrono tuttavia dei seri contrappesi. Vediamoli.

Contrappesi

Sfiducia costruttiva: il Parlamento può sfiduciare il Primo Ministro ed il suo governo con mozione di sfiducia costruttiva, cioè prevedendo – all’interno della mozione di sfiducia stessa – un’alternativa: il nome del nuovo Primo Ministro.

Controllo effettivo del Parlamento sul decreto con cui il premier scioglie le camere: affinché il Primo Ministro non sciolga le Camere a suo piacimento (i sistemi democratici moderni si fondano sul fatto che il Parlamento non possa dipendere dalle decisioni di Re o Primo Ministro), il decreto di scioglimento emanato dal premier dovrebbe poter essere respinto dalle Camere entro 10-15 giorni dalla sua emanazione (a maggioranza relativa ovviamente, per non svilire il Parlamento). Il decreto di scioglimento entrerebbe così in vigore solo se le Camere non provvedessero a respingerlo entro un determinato periodo di tempo. È un potere di controllo forte, ma necessario.

Mantenere il sistema del bicameralismo paritario: di fronte ad un primo ministro forte, occorre un Parlamento forte. Nella cornice della forma di governo del premierato il sistema del bicameralismo paritario consentirebbe alle Camere di ponderare e calmierare l’iniziativa legislativa esercitata dal premier e dal governo.  Con un sistema monocamerale, invece, mancherebbe la possibilità concreta per il Parlamento di emendare l’iniziativa legislativa del governo. Mantenere il bicameralismo paritario, contestualmente al premierato, significa mantenere la funzione legislativa nelle mani del Parlamento, lasciando al governo maggiori facoltà nell’iniziativa legislativa e decisionale.

Referendum popolari: uno degli strumenti più efficaci per poter controbilanciare i maggiori poteri del primo ministro è il referendum popolare. Per quanto riguarda quello abrogativo, disciplinato dall’art. 75 della Costituzione, andrebbe abbassato il quorum perché il referendum sia valido. Una ipotesi potrebbe essere quella di abbassarlo dal 50% più uno degli aventi diritti al voto al 50% più uno del numero di elettori che si è recato alle urne alle ultime elezioni della Camera dei deputati. Andrebbe poi introdotto un nuovo tipo di referendum, quello consultivo, utile per chiamare il popolo ad esprimere un suo parere su qualsiasi materia, ovviamente vincolante solo da un punto di vista politico e non giuridico per evitare che le opposizioni, con appena il 15-20% di votanti, obblighino il primo ministro e le Camere a provvedere in modo difforme al programma di governo.

Un Capo dello Stato realmente imparziale. Al cospetto di un premierato come quello sin qui delineato, la figura del Capo dello Stato dovrebbe fungere in sostanza da arbitro imparziale e mero “custode “della Costituzione, senza poteri a fisarmonica e senza poter assumere iniziative politiche come hanno fatto gli inquilini del Quirinale da Scalfaro in poi.

Queste in linea di massima, a nostro avviso, sono le linee guida per un buon funzionamento del Premierato in Italia.

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