L'avvocato del cuore

Cambio di sesso durante il matrimonio: il divorzio è davvero obbligatorio?

di Michela Carlo

“Gentile Avvocato, sono felicemente sposata da 8 anni. Mio marito ha da qualche tempo deciso di cambiare sesso, per sentirsi finalmente in pace con se stesso. Ci amiamo a prescindere, come persone e non come genere sessuale, e non vogliamo lasciarci dopo che verrà formalizzata la rettifica di sesso all’anagrafe. Cosa ci succederà da un punto di vista giuridico? Dovremo divorziare? La ringrazio per l’aiuto e i consigli che saprà darmi in questa situazione un po’ insolita. Manuela”

Cara Manuela, la Vostra situazione non è affatto insolita. I cambiamenti di sesso durante il matrimonio sono più frequenti di quello che si potrebbe pensare. E non è neppure così raro che la coppia, dopo questa scelta, voglia restare insieme. Il “perché” si spiega con la frase bellissima che Lei ha detto: Vi amate come persone. E dovrebbe essere ormai pacifico nel mondo che i sentimenti vanno oltre il profilo sessuale. Il mutamento di sesso è una realtà che in Italia ha trovato disciplina giuridica specifica sin dal 1982, con la legge n. 164. Una legge che, però, era molto limitante.

Nella sua versione originaria, infatti, disponeva il cosiddetto divorzio imposto: la sentenza che autorizzava la rettificazione di sesso (dopo che la persona interessata ne avesse fatto richiesta) determinava in automatico lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili. La volontà della coppia di, eventualmente, mantenere il vincolo di coniugio contava zero. Per la legge, infatti, il presupposto fondamentale e inderogabile del matrimonio, in base all’articolo 29 della Costituzione, era (ed è, perché nella sostanza nulla è cambiato) la diversità di genere.

O moglie e marito, o niente. Quindi, nei fatti, fino a pochissimi anni fa, la scelta di uno dei coniugi di avviare un percorso di cambiamento di sesso faceva precipitare la situazione giuridica da uno stato pieno di tutela (il matrimonio) a uno di vuoto assoluto e indeterminatezza. Fortunatamente, nel tempo, è intervenuta sull’argomento la Corte costituzionale, la quale, con due fondamentali pronunce, ha espressamente invitato il legislatore a cambiare la disciplina sulla rettificazione di sesso, per garantire la trasformazione del rapporto di coniugio in un’unione giuridicamente rilevante.

Così, la sentenza n. 170 del 2014 ha dapprima dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge n. 164 del 1982: in sostanza, la caducazione automatica del vincolo matrimoniale a seguito della rettifica di sesso di un coniuge è stata ritenuta – giustamente - in contrasto con il diritto della persona ad autodeterminarsi e, altresì, in contrasto con il diritto della coppia sposata a conservare la dimensione relazionale finora costruita. Per i giudici della Consulta, deve essere data la possibilità, qualora la coppia lo richieda, di mantenere in vita un rapporto giuridicamente regolato.

In altre parole, se da una parte l’unione di coppia non sarebbe più eterosessuale, così discostandosi dal modello del matrimonio, dall’altra, non si possono neppure sacrificare i reciproci diritti e doveri goduti fino ad allora, costituzionalmente rilevanti, ma soprattutto non si può eliminare, come se nulla fosse, una realtà fino a ora vissuta e tutelata. La sentenza n. 8097 del 2015 ha poi precisato, allo scopo di dare attuazione alla precedente sentenza, che le parti possono opporsi, con ricorso, alla caducazione automatica del vincolo matrimoniale e conservare diritti e doveri matrimoniali fino a quando il legislatore non dia adeguata regolamentazione e tutela giuridica alla coppia che rimane insieme.

La risposta del legislatore è arrivata con la legge 20 maggio 2016 n. 76, che ha istituito le unioni civili tra persone dello stesso sesso: oggi, la rettifica di attribuzione di sesso di uno dei coniugi, comporta l’automatica conversione del matrimonio in unione civile, se gli originari coniugi abbiano dichiarato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili. Se, invece, i coniugi non vogliono mantenere il legame di coppia, si scioglie il vincolo matrimoniale e si acquista lo status di coniugi divorziati.

Il questo modo si è, quanto meno, realizzato un più equo bilanciamento tra l’interesse dello Stato a mantenere il modello eterosessuale del matrimonio e i contrapposti diritti maturati dai due coniugi (futuri uniti civilmente). Buone notizie per Lei, quindi, cara Signora: se volete rimanere insieme, la legge adesso lo consente senza ostacoli. Anzi, nel corso del procedimento (che si concluderà con la sentenza di accoglimento della domanda di rettificazione di sesso), potrete dichiararVi anche sul cognome e, soprattutto, sul regime patrimoniale, che potrete modificare rispetto a quello adottato in costanza di matrimonio. Dopodiché, sarà lo stesso Tribunale, con la sentenza di accoglimento della rettificazione di sesso, che ordinerà all’ufficiale di stato civile del luogo ove il matrimonio fu celebrato o trascritto, di iscrivere l’unione civile nell’apposito registro e di annotare le Vostre eventuali dichiarazioni.

Concludo dicendoLe che, purtroppo, anche se non è il Suo caso, a situazioni invertite, cioè qualora vi sia un'unione civile e intervenga una sentenza di rettificazione del sesso di uno dei soggetti uniti civilmente, l'unione civile viene meno senza possibilità di convertirla in matrimonio. Una inspiegabile, contraddittoria e incostituzionale “ratio” della legge in questa prospettiva, quasi a voler dare l’idea che l’”abbassamento” da matrimonio a unione civile sia concesso, ma “l’elevazione” da unione civile a matrimonio no. Un’altra occasione persa per legittimare la piena uguaglianza dei sentimenti di tutti. Il nostro studio sta già lavorando per eliminare questa ingiustizia! Dottoressa Michela Carlo Studio legale Bernardini de Pace