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L'avvocato del cuore
Coronavirus e nuova app "Immuni". Tutti i dubbi: l'avvocato risponde

 

Tanti gli interrogativi in questi giorni sulla nuova app “Immuni” progettata per la “Fase 2”: come funziona? È obbligatorio scaricarla? è una forma di controllo? E il diritto alla privacy?

È ormai noto che il commissario Arcuri ha firmato il contratto per l’app italiana “Immuni”, progettata da Bending Spoons in collaborazione con il centro medico Santagostino, per tracciare e arginare il contagio da coronavirus. Ma la sua vera efficacia è ancora dubbia.

 

Come funziona?

Il sistema di “contact tracing” si avvale della tecnologia bluetooth, infatti affinché si attivi, richiede che i due smartphone si trovino a distanza ravvicinata. Una volta che gli utenti hanno installato l’app viene generato un codice identificativo che consente, in modo anonimo, di determinarne la rete di contatti pregressi.

Per prevenire potenziali focolai, inoltre, ogni utente potrà creare un “diario clinico” inserendo alcuni dati personali come sesso, età, peso, altezza, patologie pregresse, cure farmacologiche in atto e lo stato di salute giornaliero, per esempio febbre, tosse, mal di testa, mal di gola ecc.

Se una persona risulta essere positiva al Covid-19, prestando il consenso all’utilizzo dei suoi dati sempre in forma anonima, permetterà di tracciare i contatti avuti negli ultimi giorni.

In questo modo, sarà possibile individuare gli utenti che sono entrati in contatto, per un tempo maggiore di 15 minuti e a meno di due metri di distanza, con soggetti risultati successivamente positivi al Covid-19. Gli individui a “rischio contagio” saranno, quindi, avvisati tramite un messaggio.

Chi riceve il messaggio cosa deve fare? Deve mettersi in quarantena? Gli verrà fatto il tampone?

Avrà un’assistenza sanitaria adeguata?

Questa applicazione, il cui utilizzo è assolutamente facoltativo, può essere efficace sulla popolazione solo se saranno garantite maggiori risposte in termini di assistenza clinica e psicologica.

 

Quali sono, invece, i rischi per la privacy?

Il sistema di raccolta delle informazioni per essere efficiente e sicuro deve essere decentralizzato, solo in questo modo potrà essere rispettata la normativa a protezione dei dati e si impedirà un domani di usare queste informazioni nel modo sbagliato.

L’utilizzo di questa applicazione deve avvenire in modo consapevole. Per questo il Comitato Europeo ha predisposto delle linee guida per la protezione dei dati e ha chiesto espressamente “che la memorizzazione dei dati sia completamente decentralizzata” e che i protocolli di acquisizione delle informazioni e il codice che ne disciplini il loro utilizzo siano resi pubblici, al fine di permettere agli utenti tutte le verifiche preliminari nel rispetto della privacy. Per garantire la trasparenza sull’uso dell’applicazione, per esempio, è stato escluso l’utilizzo della geolocalizzazione e, nel decreto, è stato previsto che prima della sua attivazione, gli utenti ricevano tutte le informazioni: finalità di trattamento dei dati, le tecniche di anonimato che saranno utilizzate e i tempi di conservazione dei dati.                                                                                                                             

Ma chi gestirà tutti i dati privati che saranno raccolti grazie all’app Immuni?

Il Comitato scientifico e la task force affermano che la piattaforma che raccoglierà tutti i dati sarà realizzata con infrastrutture localizzate sul territorio nazionale, gestite da amministrazioni o enti pubblici o in controllo pubblico, e che terminata la fase emergenziale, prevista per il 31 luglio 2020, e comunque non oltre il 31 dicembre 2020, tutti i dati saranno cancellati o resi definitivamente anonimi.

Non bisogna infatti dimenticare che l’obiettivo della “Fase2” è quello di convivere con il virus, non quello di seguire i movimenti delle persone e/o di controllarle.

Dunque, affinché questa applicazione possa essere apprezzata e, di conseguenza, possa essere utile (in quanto solo se largamente accettata e utilizzata potrà essere di supporto a una strategia sanitaria) è necessario che vi sia trasparenza, sicurezza e che si rispetti il diritto alla protezione dei dati personali, riconosciuto come diritto fondamentale in Europa e regolamentato nel GDPR, nelle direttive a esso collegate e nelle leggi nazionali.

L’accesso ai dati personali è da sempre un potere “ambìto” ed è in grado di modificare i rapporti e le relazioni tra le persone, tra consumatori e imprese e, non da ultimo, tra Stato e cittadini.

Bisogna evitare anche il solo sospetto che possano insinuarsi interessi che hanno priorità diverse dalla tutela dei diritti fondamentali dei cittadini e che si possa approfittare dello stato emergenziale per consolidare nuovi poteri e creare condizioni favorevoli ad ulteriori limitazioni delle libertà civili e sociali.

*Studio legale Bernardini de Pace

 

 

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