L'avvocato del cuore

Ricorsi e sentenze scritti con il ‘copia e incolla’: casi e linee guida

di avvocato Valentina Eramo*

Capita di dover “copiare e incollare” un testo per trasferirlo da un file all’altro: le tecniche del processo informatico ci insegnano che premendo sulla tastiera la combinazione dei tasti CTRL+C è possibile “copiare” il testo selezionato mentre premendo quella CTRL+V è possibile incollarlo dove ci è utile.

Il “copia e incolla” è diventato, nel linguaggio comune, espressione dall’accezione negativa, quanto meno in ambito giuridico, perché evoca l’attività di chi, annullando creatività e capacità di valutazione critica, si adagia sul testo “confezionato” per una determinata esigenza adattandolo ad altro contesto. La conseguenza è che il testo originario e originale diventa “preconfezionato” quando lo si ri-utilizza altrimenti.

La parola “riciclaggio” esemplifica bene l’idea di chi riadopera, recupera e reimpiega qualcosa che all’inizio era servita ad altro. Niente di male se il contesto è quello ambientalista e dell’economia sostenibile, ma altre sono le valutazioni quando il contesto, come premesso, è quello giuridico.

Con la recente ordinanza n. 15333 del 17 luglio 2020, la Cassazione ha condannato a rifondere le spese del processo il cittadino che aveva adito la Corte medesima con un ricorso tacciato di essere la “fotocopia”, al più parafrasata, del ricorso precedentemente presentato nel giudizio di appello.

La motivazione dei giudici di legittimità è stata questa: il ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado deve essere autosufficiente e sintetico né può tradursi nell’impersonale trascrizione di passaggi e stralci degli atti processuali già depositati nei precedenti gradi di giudizio.

Peccato che la condanna per lite temeraria sia stata “incassata” dal cittadino quando, invece, il ricorso era stato scritto – evidentemente male - dall’avvocato, quantunque cassazionista (quindi abilitato al giudizio di legittimità). Anche i giudici, però, sarebbero incorsi nella disonorevole attività di assemblaggio acritico ascritta al malcapitato cittadino (invero da imputare solo al suo avvocato cassazionista) “colpevole” di aver presentato in Cassazione un ricorso “appiattito” sul ricorso in appello.

Risale al 6 luglio 2020, la notizia di alcuni giornali relativa alla denuncia del Presidente della Camera Penale Veneta - presentata al Ministro della Giustizia Bonafede - contro alcuni giudici della Corte d’Appello di Venezia. Questi ultimi sarebbero stati accusati di aver pre-confezionato le loro sentenze ancora prima della “discussione” finale in aula nonostante essa sia tappa processuale obbligatoria non solo per perfezionare il contraddittorio sul thema probandum, ma anche per completare l’istruzione del caso concreto portato alla cognizione della magistratura.

Riepilogando:

- i giudici hanno sanzionato con la condanna al pagamento delle spese di lite la parte del processo che ha avuto la sventura di scegliersi un avvocato lavativo, ma anche ignaro delle regole da osservare nel processo di legittimità;

- gli avvocati penalisti hanno denunciato al Ministero le condotte dei magistrati “veggenti” i quali, anzitempo, avrebbero scritto le sentenze, ancor prima di “chiudere”, formalmente, il processo con la discussione in aula.

Entrambe le categorie professionali, quella degli avvocati e quella dei giudici, si sono servite - abusandone – dei tasti del computer CTRL+C e CTRL+V per “copiare e incollare” il testo che ha riempito il contenuto, rispettivamente, dei loro atti processuali e delle loro sentenze. Per completare questo irto viaggio nel mondo delle professioni forensi non può non essere citata la sentenza del GIP di Nocera, pubblicata il 27 febbraio 2017, il quale ha assolto dal reato di “falsa attribuzione di un lavoro altrui” il cosiddetto praticante, e cioè l’aspirante avvocato colpevole, secondo il Pubblico Ministero, di aver “copiato pedissequamente” - durante la prova d’esame scritta - “alcuni contenuti liberamente disponibili in Rete”, accreditando, di conseguenza, “come proprio il lavoro altrui”. A chi legge le valutazioni del caso.

*Studio legale Bernardini de Pace