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Cookie di terza parte, taglio netto ai business online

Redazione

Personalizzare la pubblicità è l’obiettivo non solo di piccoli, medi e grandi imprenditori, bensì di qualsiasi azienda intenda far crescere il proprio business ottimizzando i budget e non bruciando migliaia (o addirittura milioni) di euro in spot decontestualizzati e venduti soltanto su un’audience disinteressata.

A rovinare i piani di aziende che comprano e aziende che vendono questo tipo di pubblicità, insomma a mettere i bastoni tra le ruote al Programmatic Advertising, questa volta ci penserà l’esclusione dei Cookie di Terza Parte.

In qualche modo, se un business funziona e lede poche persone, ma quelle persone sono le persone “giuste”, quel business andrà ridimensionato.

L’arretratezza culturale in quanto a tecnologia che dilaga in Italia è un mare in piena, questi argomenti solo particolarmente toccanti ma l’effetto Dunning Kruger è dietro l’angolo: chi vede la propria privacy lesa, al netto di pochi consapevoli internauti, sa cosa è davvero un cookie, sa come funziona, ha ben chiaro il concetto di dati aggregati e di intelligenza artificiale o forse si crede che un signore ben vestito di mezza età passi l’intera giornata a vedere quali sono stati i siti visitati da ciascuno di noi nelle sue notti insonni?

Abbiamo cominciato con il tagliare le gambe ai business del gioco digitale, dalle Slot Machine ai casino online, anche a quelli migliori e regolamentati dall’AAMS. Abbiamo gentilmente imposto ad aziende che investono e che targetizzano un pubblico interessato di non poter più lavorare e oscurare non soltanto la propria posizione pubblica ma soprattutto il continuo versamento di denaro nelle casse/tasse dello Stato.

Ora è il turno dei Cookie, quelli di terza parte, quelli delle aziende grandi che rivendono i servizi pubblicitari: roba da poco se ci pensiamo, gli stipendi che propongono sono i più alti del settore, i tassi di impiego anche, gli ambienti lavorativi i più elastici e la produttività che crescere yoy è soltanto fumo negli occhi (...).

Andrea Lamperti, il direttore dell'Osservatorio internet media del Politecnico di Milano che ha approfondito la questione con il Sole24Ore, ha indagato anche su quali potrebbero essere le soluzioni che verranno adoperate dai top player di settore (eh già, perché per i network più piccoli si preannunciano tempi molto più che duri.

Le soluzioni di identità al primo posto: queste agiscono sul processo di identificazione e tracciamento dell'utente senza utilizzare i cookie:

  • tutti i Crm, grazie a una certa intensificazione dell’uso delle e-mail, assumeranno un ruolo più importante all'interno della filiera pubblicitaria;
  • il Mobile advertising id (o Maid), ossia un identificatore fornito direttamente dal sistema operativo dello smartphone o tablet che sia, con logiche analoghe a quelle dei cookie di terze parti ma con un nome diverso;
  • l'Universal Id, erogato tramite piattaforme di identity resolution che con analisi cross-piattaforma e indagini di tipo deterministico o probabilistico identificheranno l’utente nel mare immenso di tutti gli altri.

Vi sarebbe poi l’alternativa del contextual advertising (ossia quando gli annunci vengono erogati in funzione del contenuto della pagina web di destinazione) che però viene attualmente già ampiamente adoperata come strategia e da sola non può bastare a colmare il gap che ne verrà dalla mancanza dei cookie di terze parti. Certo, grazie all'IA si potranno sfruttare molti altri parametri come oltre al contesto e al comportamento dell'utente.

Si può dire che il 2021 è iniziato all’insegna dei cookies, i dati parlano chiaro: ‘il livello di interesse rispetto all’argomento è  assolutamente “rilevante” e “massimo” in riferimento al targeting per il 71% dei rispondenti, alla misurazione per il 65% dei rispondenti e al programmatic per il 51%’, sempre secondo i dati forniti e discussi con il Politecnico di Milano e gli autori delle indagini di mercato.

Le analisi dell’Istituto Universitario proseguono oltre il mero aspetto opinionistico e affermano che ‘il 22% ha valutato “rilevante” o “massimo” il livello di conoscenza della propria azienda con riferimento al targeting in merito alla deprecazione dei cookie di terze parti, il 31% dei rispondenti lo ritiene tale per la misurazione e il 24% in riferimento al programmatic.’

La preoccupazione delle aziende è tangibile in tal senso, anche se una timida maggioranza assoluta, riscontrabile in un canonico 51% dei rispondenti alle indagini, conclude che per quanto impattante questa evenienza non determinerà la fine dei giochi e che verranno presto trovare soluzione atte a contenere le perdite. Che non si tratti dell’alba di un nuova, grandissima e inaspettata era digitale dell’advertising? Siamo pronti a una profilazione (e a una pubblicità) che sia qualcosa in più di un banale 4.0?