Cronache dal mercato dell'arte
Corpo non Corpo, Salvatore Garau in mostra a Roseto supera i limiti dell'arte immateriale
La personale, con testo critico in catalogo di Lóránd Hegyi, presenta 15 tele di grande formato e due video, che raccontano nell’unione fra il corpo della pittura e il non corpo dell’immateriale l’interesse che l'artista ha sempre avuto per la materia

Il Maestro Salvatore Garau (a sinistra), con il presidente di Roseto e Jarvès Andrea Pasquali
Salvatore Garau con la mostra "Corpo non Corpo" a Roseto supera i limiti dell'arte immateriale
La personale di Salvatore Garau “Corpo non corpo”, in cartello a Milano dall’8 aprile all’11 maggio presso lo Spazio Roseto di corso Garibaldi 95, si è trasformata in uno degli appuntamenti imprescindibili per l’art community. Ma facciamo un lungo passo indietro nel tempo.
L’arte invisibile o immateriale, così come il vuoto trasformato in artwork, rappresenta sperimentazioni concettuali che nell’ultimo secolo sono state coltivate da Maestri come Marcel Duchamp, Yves Klein e il nostro Piero Manzoni. Nel 2020 Salvatore Garau ha ripreso il tema, con un ulteriore passo in avanti: le opere immateriali non si limitavano a pure concettualizzazioni o a performance, ma venivano trattate esattamente come fossero reali. Tanto che due sue sculture invisibili, nel 2021, furono messe all’asta in due sedute differenti e inserite nei cataloghi come due normali lotti. E furono vendute rispettivamente a 15 mila euro e a 27 mila euro.
Il tutto suscitò un clamore forse inatteso: nel 2021 Garau fu l’artista contemporaneo più citato dai media a livello mondiale. Da allora, mostre che (o per contenuto, o anche solo per il titolo, o addirittura come mera suggestione) presentavano riferimenti a parole chiave come invisibile, immateriale, vuoto e similari, si sono susseguite quasi senza soluzione di continuità.
Tra i casi più recenti, cito, a titolo puramente esemplificativo: “NothingTM”, progetto artistico itinerante dedicato al vuoto, di Federico Pepe, presentato prima alla Gam di Torino e poi al MAMbo di Bologna; “Aiko Miyawaky, sculpture”, proposta dalla Studio Gariboldi a Palazzo Cicogna, che Artribune, autorevole testata del settore ha recensito come “A Milano l’artista che esplora l’invisibile con la scultura e la luce”; “Visibile e invisibile, la mostra di Gregorio Botta in Veneto”, ha intitolato sempre Artribune, pubblicando un articolo dedicato all’esposizione dell’artista e giornalista napoletano negli spazi di Atipografia e Arzignano, nel Vicentino.
L’incessante lavoro di ricerca di Garau, lo ha portato a indagare sul rapporto tra visibile e invisibile, tra materiale e spirituale, con l’intento di dare vita a una personale che segnasse un punto decisivo in quella che è diventata una delle questioni più dibattute nell’arte contemporanea. È nata così “Corpo non corpo”, promossa da due società immobiliari, Roseto e Jarves, entrambe presiedute da Andrea Pasquali, giovane imprenditore e appassionato collezionista di arte moderna e contemporanea.
Spiega Vincenzo Saluzzo, Marketing&Communication manager di Roseto: “Roseto e Jarvés perseguono l’obiettivo di creare un ponte tra impresa, arte e città, promuovendo la cultura come strumento di ispirazione e connessione. La collaborazione con Salvatore Garau riflette questa vocazione: lo stile evocativo ed il pathos delle sue opere danno nuova energia a Spazio Roseto, trasformandolo in un luogo di eccellenza artistica e di vivaci scambi intellettuali”.
La personale, con testo critico in catalogo di Lóránd Hegyi, presenta 15 tele di grande formato e due video, che raccontano nell’unione fra il corpo della pittura e il non corpo dell’immateriale l’interesse che l'artista ha sempre avuto per la materia e, allo stesso tempo, per lo spirito. Una narrazione sulla presenza e l'assenza, sul visibile e sull'indefinito.
In un’epoca in cui la tecnologia e l’intelligenza artificiale permeano ogni aspetto della nostra esistenza, orientando percezioni, relazioni e perfino emozioni, Salvatore Garau ci ricorda che l’essenza dell’essere umano risiede proprio in ciò che sfugge all’occhio e agli algoritmi: l’unicità dell’essere, l’irriducibile mistero della coscienza, la forza poetica dell’assenza.
In questo contesto spicca nella mostra, “Autoritratto”. Si tratta di un’opera-videorealizzata nel 2022, ma ancora inedita, della durata di 23 secondi di un’intensità concettuale straordinaria, la più vicina al cuore stesso della poetica di Garau. “Autoritratto” si impone come una delle opere più emblematiche e complete della produzione di Garau.
“L’opera che non vedete qui accanto è il mio autoritratto. È molto simile a me, e vi assicuro che un giorno, quando non ci sarò più, saremo identici come due gocce d’acqua”.

Con queste poche parole l’artista non solo presenta l’opera ma ne amplifica la portata poetica e metafisica. Garau gioca con la nozione di rappresentazione: il suo autoritratto non mostra nulla, eppure dice tutto. Un’opera che non si vede ma si percepisce, che non si guarda ma si intuisce. Un’opera che non ha bisogno di immagini per restituire l’immagine più autentica: quella che l’artista lascia di sé, invisibile eppure eterna.
“Autoritratto” si configura come un paradosso perfetto, un ossimoro visivo e concettuale: un’opera immateriale che si rivela iperrealista. Non nel senso tradizionale della mimesi pittorica, ma in quanto manifestazione di un’intimità profonda, radicale, non replicabile. Garau ribalta la logica artistica classica: non è più l’artista a imitare il modello, ma è il modello a imitare l’artista. In questo processo creativo l’arte diventa specchio della sua invisibilità.
Quello di Garau non è un esercizio intellettuale fine a sé stesso. È un gesto di ribellione poetica contro l’onnipresenza del visibile, contro la sovraesposizione del corpo e dell’identità nell’epoca digitale. “Autoritratto” diventa così il manifesto di un’arte che non ha più bisogno di materia per esistere, che abita lo spazio mentale ed emotivo dello spettatore, che vive nella relazione tra assenza e significato.