Lo sguardo libero

L’anacronismo dell’incoronazione di Carlo III

Di Ernesto Vergani

Privilegio divino di nascita è solo quello del genio

La nobiltà è fine a sé stessa

L’incoronazione di Carlo III a Westminster Abbey fa venire in mente la tradizione, cui è legato il concetto di uomo spirituale, quali erano gli uomini delle società appunto tradizionali, come quella del Medioevo giudaico-cristiano, in cui l’esistenza degli individui aveva un senso, a differenza di quanto succede oggi per la maggioranza (come chi segue gli influencer). Alla nobiltà è legato il concetto di mecenatismo, di arte, una delle massime espressioni umane. Tutto ciò merita massimo rispetto.

Tuttavia, visto che siamo in democrazia, come lo è la Gran Bretagna, si accolga. Il privilegio per nascita è anacronistico. Quasi un giovane britannico su due inizia a pensare così. Non lo sarebbe se parte delle tasse dei cittadini non fossero destinate ai monarchici. È più che simbolico, non importa se si tratta di uno o due euro a cittadino e se la monarchia porta l’indotto economico. La nobiltà è fine a sé stessa, il denaro non c’entra assolutamente nulla con essa. Come è fondamentale la differenza tra l’essere suddito (etimologia da “sottomettere”) e cittadino.

In un certo senso la democrazia è la forma in cui la nobiltà ha continuato ad esistere. La democrazia liberale mette al centro l’individuo – che è la democrazia – che può arrivare, a prescindere dalla propria origine, a eccellere, ad avere un’intelligenza e un intelletto superiori a quelli di un nobile di nascita.  Nel passato si diceva che la nobiltà venisse da Dio, giustamente nel senso della fortuna: nascere figlio di Carlo III o di un povero di un villaggio sperduto dell’Africa è solo caso. Tale destino (Dio?) continua oggi dal momento che il genio di nascita c’è sempre stato e ci sarà sempre, ovviamente, poi serve l’ambiente, lo studio etc. etc.

Il tema dell'etichetta – l’educazione rimane fatto essenziale e fondamentale delle relazioni - è secondario… esistono i libri di cerimoniale alla portata di tutti. Nessun segreto. Come scrive Giacomo Leopardi (che era conte, come conte era Alessandro Manzoni – come scrisse Alberto Arbasino in Italia per saper scrivere bisogna esser conti) - scrive il poeta di Recanati: “Compito dell’arte è nascondere l’arte”.