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Chi ha avuto il Covid invecchia prima: lo studio a un anno dal contagio

Chi ha avuto il Covid invecchia prima: lo studio a un anno dal contagio

L’infezione da Covid potrebbe accelerare l’invecchiamento. Questo è il sorprendente risultato riscontrato dall’Università di Padova che ha avviato un’indagine approfondita sul ruolo dell’infiammazione e dello stress ossidativo nel contesto del Covid-19. Questo studio ha rivelato che l’infezione accelera l’invecchiamento biologico soprattutto tra gli uomini e anche tra le persone che hanno avuto sintomi lievi o assenti.

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Covid accelera l’invecchiamento: lo studio

Pubblicato sul “Journal of Molecular Sciences”, lo studio è stato condotto da un team interdisciplinare di Medicina del lavoro dell’Ospedale Universitario di Padova, guidato dalla professoressa Sofia Pavanello del Dipartimento di Scienze cardio-toraco-vascolari e Sanità pubblica.

La ricerca ha coinvolto 76 operatori sanitari contagiati durante la prima ondata pandemica, la maggior parte dei quali ha presentato sintomi lievi o assenti. Per ciascun partecipante sono stati raccolti dati demografici, sullo stile di vita, sulla storia medica ed esposizione ambientale e occupazionale. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a esami clinici completi, inclusi test di funzionalità respiratoria, valutazioni cardiache, test biochimici di base, profili immunologici e biomarcatori di infiammazione. Chiaramente, è stata analizzata la loro età biologica.

Risultati e implicazioni per la salute pubblica

La professoressa Pavanello ha spiegato che il campione analizzato è rappresentativo dell’intera popolazione che ha contratto il Covid-19 con sintomi lievi o assenti. Alcuni individui sono più vulnerabili agli effetti del long Covid, e in questi casi potrebbero rivelarsi necessarie strategie di gestione personalizzate e interventi di supporto mirati con inevitabili conseguenze sulla sanità pubblica.

Il team di ricerca ha esaminato vari parametri ematochimici, tra cui indicatori di infiammazione come l’interleuchina 6 e la proteina C-reattiva, per determinare se lo stato infiammatorio persistesse un anno dopo l’infezione. Sono stati inoltre analizzati i livelli di un marcatore molecolare di invecchiamento, la DnamAge.

I risultati hanno mostrato che l’aumento della DnamAge era associato non solo alla durata dell’infezione, ma anche ad altri fattori, quali:

  • declino della funzionalità polmonare;
  • variabilità della frequenza cardiaca;
  • ridotta frequenza cardiaca media.

Un aumento della DnamAge indica un invecchiamento biologico accelerato, aggravato dall’infezione da Sars-CoV-2 e il campione esaminato ha mostrato un aumento della DnamAge, accompagnato da una riduzione della capacità respiratoria e della frequenza cardiaca media un anno dopo il contagio rispetto alla fase post-acuta.

Inoltre, i dati clinici e i campioni biologici hanno mostrato che quasi un partecipante su (il 30%) ha sperimentato sintomi persistenti come difficoltà respiratorie (dispnea) e problemi cognitivi (disturbi di concentrazione, memoria e ansia) fino a un anno dopo l’infezione.

Una delle prime evidenze emerse dallo studio è che il monitoraggio della capacità respiratoria, della frequenza cardiaca e della variabilità della frequenza cardiaca (Hrv), insieme ad altri interventi mirati, potrebbero mitigare l’accelerazione dell’invecchiamento.

Vulnerabilità del tessuto polmonare

Un altro risultato significativo ottenuto dalla ricerca è che, un anno dopo il contagio, si è riscontrato un invecchiamento biologico accelerato nelle cellule dell’espettorato rispetto ai leucociti del sangue e alle cellule nasali. Questo potrebbe indicare una particolare vulnerabilità del tessuto polmonare anche in soggetti con sintomi lievi o assenti. La ricerca ha anche indicato che questo invecchiamento biologico colpisce maggiormente gli uomini, confermando le statistiche sulla maggiore longevità delle donne e suggerendo la necessità di strategie di prevenzione specifiche per genere.

Un precoce invecchiamento biologico è associato anche ad altre malattie croniche come disturbi muscoloscheletrici, ernia del disco spinale, malattie gastrointestinali, malattie endocrine, diabete, malattie respiratorie e persino tumori. Cattive notizie, infine per le persone con glicemia alta e alti livelli di LDL (colesterolo cattivo) nelle quali è stato riscontrato un maggiore rischio maggiore di invecchiare più rapidamente.






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