Coronavirus
Covid, De Luca continua lo show.Ma gli ospedali campani sono quasi al collasso
Coronavirus. I nodi del sistema sanitario campano. Medici, dirigenti e infermieri ci spiegano perché sono sempre in emergenza. Un problema strutturale...
Il nodo segreto del sistema sanitario campano, la regione attualmente con maggiori contagi da Coronavirus. Ne abbiamo parlato con alcuni dirigenti sanitari: medici, dirigenti e infermieri locali. Ci hanno raccontato perché accade quanto stiamo vedendo nelle tv nazionali. Perché le ore di fila per poter fare un test o i tamponi a Napoli, i cittadini in attesa per giorni (molte volte ammalati), strutture intasate e al collasso.
Il Coronavirus ha messo alla prova il sistema sanitario nazionale, le strutture ospedaliere di molte regioni, la classe dirigente sanitaria, figuriamoci quelle più fragili, come la Campania dove tutti i nodi vengono al pettine.
In queste ore la reazione del governatore “sceriffo” Vincenzo De Luca è stata vietare ai medici pubblici di parlare con i giornalisti, per raccontare l’andamento della pandemia. Un argine fragile ad una sanitaria debole che sembra avere regole particolari.
I cittadini chiedono allo Stato e ai governatori di agire razionalmente, anticipando quanto si sa possa accadere con l’avanzare dell’inverno. Ma è difficile succeda in Campania dove si vive in continua emergenza. Ecco perché.
“Senta, qua ci arrangiamo dalla notte dei tempi”, spiega Giacomo F. (i nomi dei professionisti sono modificati per rispettare l’anonimato) medico di una struttura ospedaliera di Napoli centrale. “Non ne verremo mai a capo. Strutture come il Cotugno hanno un raggio d’intervento limitato, sono piccole eccellenze ma anche eccezioni in un panorama differente. Al Cotugno non possiamo infilarci 5,8 milioni di campani. In generale se qui vuoi vivere vai dal privato o fuori regione, ora però col Covid neanche questo è del tutto possibile”, racconta con voce sconsolata.
“I posti letto sono largamente insufficienti rispetto a quello che servirebbe e l’organizzazione sanitaria regionale è inadeguata, ma a chi lo dico?”, ripete più volte con la voce tesa come stesse parlando solo a sé stesso, “perché se lo spiego alla dirigenza della Regione commetto una sorta di lesa maestà e farei prima a licenziarmi. Tutto resta sulle nostre spalle che stiamo in prima linea in questo caos. Inizia e finisce lì”.
Giacomo F. ci sfata anche il luogo comune di una Campania dove non ci sarebbero macchinari e mezzi. “Ne ho visti più che in Veneto e in Lombardia, venite a controllare. Il problema è che molte volte non c’è nessuno che li sappia usare. Il nostro problema principalmente non sono i fondi ma l’organizzazione del sistema che è ancora quello di 30 anni fa. Un vestito nuovo non cambia un corpo vecchio e malandato che in generale funziona con logiche un po' feudali, ma lasciamo stare… e lo dico anche contro il mio stesso interesse”.
A cosa alluda il medico lo sviscera ad Affari Michele P., infermiere professionista con una lunga esperienza e che lavora in una struttura periferica della provincia campana. “Gliela spiego io la logica feudale. La sanità pubblica locale non funziona e allora i medici pubblici che fanno!? Visitano i pazienti in strutture private per accelerare le cose. Ma poi, in un secondo momento, li riversano nell’ospedale pubblico una volta che il paziente deve ricevere un intervento impegnativo, perché il privato non ha strutture all’altezza e non saprebbe reggere i costi”, racconta Michele P..,“il pubblico è un po' una loro dependance che intasano a seconda dell’occorrenza, cioè sempre vista la carenza di posti letti”.
In questo senso il fatto di avere in Campania una media di posti letto più bassa che nel resto d’Italia (che è già limitata a 3,7 posti letto per 1000 abitanti) e pari al 2,2-2,4 per 1000 abitanti conta. “Così il poveraccio che arriva con un infarto o in gravi condizione finisce in un budello già intasato da logiche private e in un sistema perennemente in emergenza. Visto il quadro immagini cosa accade oggi con il Coronavirus, con centinaia di persone in più che tutti i giorni cercano di entrare in ospedale!”, racconta l’infermiere. “Il nostro è un problema di cultura della sanità non di risorse. Questo modello non può funzionare e negli anni chiunque abbia governato l’ha alimentato invece che combatterlo. Anche perché non poteva far altro visto il consenso, in termini di voti, che porta alla politica la classe medica. Non si può neanche fare nulla perché i medici qui hanno quasi sempre ottimi rapporti con le direzioni sanitarie e quindi fanno il bello e il cattivo tempo. Ci sono anche tanti che non stanno a queste logiche ma finiscono in trincea a spalare merda. Sui grossi numeri è come le racconto…”.
Di recente la regione è uscita da 10 anni di commissariamento del settore sanitario visto che l’ente aveva accumulato 9 miliardi di euro di debiti.
De Luca ha più volte spiegato che commissariamento significa meno risorse, impossibilità di sostituire il personale in pensione, “13.500 dipendenti in meno, liste di attesa lunghe”, emigrazione sanitaria in altre regioni con costi aggiuntivi da sostenere.
“Tutto vero ma il problema secondo noi è strutturale”, racconta Francesco S. dirigente che agisce nel beneventano, “alcune infrastrutture sarebbero da radere al suolo e rifare da capo ed è vero che la logica pubblico-privato campana non può funzionare. Ma chi ci metterà mai mano?”
“Ci troviamo strutture ospedaliere non attrezzate per reggere a un impatto come quello del Covid e al di là delle dichiarazioni del governatore finiamo solo per riversare un sistema non all’altezza sulle spalle della gente, chiudendo tutto con un lockdown locale perché è questo il pericolo che corriamo con un sistema così”. E continua: “L’equilibrio di bilancio è un’ottima cosa ma come rispondo a 1000 persone al giorno che mi chiedono di fare i tamponi quando ho difficoltà anche a separare un ingresso di ospedale tra percorsi sicuri e percorsi Covid?”
Il mancato rispetto di una pianificazione durante l’estate sembra aver portato alla crisi di queste ore che dalla perenne emergenza conduce la regione verso un quadro davvero preoccupante qualora, con l’avvicinamento dell’inverno, aumentassero i positivi sintomatici bisognosi di cure.
I contagi continuano a crescere ma il grosso dei colpiti è per fortuna asintomatico. Ora resta difficile capire come uscire dal quadro descritto senza un modello alternativo che metta davvero in discussione le gestioni passate. Strada comprensibilmente difficoltosa da intraprendere già normalmente figuriamoci in un contesto di crisi come quello del Coronavirus.