Coronavirus

Covid: un nemico che va sconfitto senza essere combattuto

L'opinione di Pietro Furlan

La pandemia ha stravolto la nostra quotidianità, trasformata in una zona rossa e "bellica". Ma è necessario muovere guerra al virus?

Dai primi giorni di marzo sono passati ormai quasi nove mesi. Un arco temporale scandito da una quotidiana conta di contagiati, ricoverati e decessi, un vero e proprio bollettino di guerra insomma. E’ infatti la metafora bellica la linea rossa che ha attraversato tutto questo periodo. Ma è proprio necessario muover guerra al coronavirus?

Covid, è necessario muovere guerra al virus?

Si potrebbe ripensare una strategia che ribalti completamente l’approccio seguito finora. Nonostante le pesanti misure restrittive attuate da marzo ad oggi, nell’ultimo mese l’Italia fa segnare le cifre più alte in Europa per eccesso di mortalità. Inseguire il virus non funziona e semplicemente non ha alcun senso. A poco servono misure restrittive come lockdown, coprifuoco, chiusure delle attività economiche, mascherine all’aperto e distanziamento sociale. Niente da fare, i contagi aumentano e il virus continua a fare il suo mestiere. I fatti, in Italia così come in altri paesi, lo hanno dimostrato e lo dimostrano impietosamente, nonostante tutti gli sforzi. Come ribadito più volte da noti esperti quali Zangrillo, Bassetti e Palù in realtà non servirebbe il tracciamento dei positivi, ovvero di coloro che sono venuti a contatto del virus poiché in più del 95% dei casi non si tratta di malati bensì di asintomatici anche grazie ad un aumento della risposta immunitaria dell’uomo che, col passare del tempo, sviluppa delle forme di resistenza al virus e ad una parallela diminuzione della carica virale, che consente al virus di permanere nell’organismo ospite per un tempo sufficiente al contagio di altri soggetti. Dunque impostare  una strategia finalizzata al contenimento dei contagi, e conseguentemente alla diminuzione delle occasioni di contatto tra le persone, oltre a rivelarsi concretamente di estrema difficoltà e dagli effetti collaterali catastrofici sul fronte della salute mentale e fisica delle persone oltre che su quello economico, è quindi sostanzialmente utile ed efficace come  svuotare un lago con un secchiello.

Covid, come affrontarlo? 

Come affrontare quindi il COVID? La vera risposta viene in definitiva dall’osservazione dei dati e dall’esperienza. Ora, tralasciando che anche sulla raccolta dei dati ci sarebbe molto da dire viste le numerose anomalie segnalate, quali a titolo puramente esemplificativo la conta dei positivi sulla base di tamponi ripetuti sulla stessa persona, oppure il fatto che nelle attestazioni un decesso venga conteggiato come positivo anche qualora non sia nota la positività, o che una volta positivo si inserisca come morto per Covid indipendentemente dalle reali ragioni del decesso, è possibile comunque estrapolare delle informazioni importanti circa il target maggiormente colpito dal coronavirus. Come ribadito anche da Bernabei del CTS, è ormai acclarato - si evince facilmente dai dati ISS -  che il COVID rappresenta un vero pericolo quasi al 90% per una determinata parte della popolazione, ovvero per le persone sopra i 70 anni di età con almeno una patologia in corso oppure per le persone anche sotto i 50 anni particolarmente a rischio come gli obesi, i diabetici, chi soffre di patologie dell’apparato respiratorio, chi soffre di patologie autoimmuni e quindi usa farmaci immunosoppressori. Per quanto riguarda l’esperienza di questi nove mesi si pensi al caso di Bergamo e Brescia. Da epicentro della pandemia nella cosiddetta prima ondata ora queste due province sono solo marginalmente colpite nonostante siano nella rossissima Lombardia, peraltro contigue alle zone di Milano, Monza e Brianza dove attualmente si registrano picchi di contagi. E’ evidente dunque, senza scomodare la controversa teoria sulla cosiddetta immunità di gregge, che i sopravvissuti alla prima ondata sono guariti e hanno inevitabilmente sviluppato degli anticorpi che li stanno proteggendo durante l’attuale recrudescenza del virus.

E’ chiaro perciò che affrontare il Covid significa soprattutto mettere in sicurezza e tutelare le categorie più a rischio. Ciò potrebbe essere effettuato estrapolando i dati di ciascun cittadino dal suo fascicolo elettronico ed individuando così attraverso parametri oggettivi coloro i quali rientrano all’interno di un cosiddetto “profilo di rischio” indicizzato. Per queste persone si potrebbe predisporre un isolamento domiciliare nei casi ove possibile, altrimenti si potrebbero allestire delle strutture con la necessaria assistenza presso le quali soggiornare in assoluta sicurezza, peraltro meno costose e più veloci da approntare e gestire rispetto a strutture ospedaliere o comunque destinate ad una degenza vera e propria come gli attuali COVID hotel. Ovviamente tale approccio, per poter funzionare, deve essere preventivo poiché è chiaro che per queste persone il contagio comporterebbe quasi sicuramente gravi conseguenze. Dunque l’isolamento dal resto del mondo deve essere concreto ed effettivo senza tuttavia impedire loro di svolgere le abituali attività e di incontrare persone per lavoro o per motivi personali, unicamente mediante procedure di sicurezza. A questo proposito interessante sarebbe seguire la soluzione trovata nel centro servizi alla persona Domenico Sartor di Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso. E’ evidente quindi che solo per questa categoria di persone lo scopo deve essere di evitare il contagio. Ogni persona di questa categoria che diventi un paziente in terapia intensiva è dunque il risultato di un errore nella gestione della sua salvaguardia, e come tale deve essere perseguito. 

Covid, l'importanza della rete medicinale del territorio

Per la restante parte della popolazione fondamentale è il potenziamento della rete di medicina territoriale, vero avamposto per fronteggiare il virus in maniera capillare, curando i pazienti a casa. Prerequisito imprescindibile è la stesura di un valido ed efficace protocollo nazionale di terapia domiciliare che permetta, sotto la costante supervisione del medico di base, di curarsi. E’ noto infatti che finora, nella stragrande maggioranza dei casi e non esistendo ancora farmaci specifici per Sars-Cov-2, il Covid è stato contrastato con semplici antivirali e antinfiammatori ad azione antipiretica. Più raramente sono stati impiegati antibiotici e cortisone, che per diverse ragioni sono anzi sconsigliati salvo casi particolari, come riportato nelle attuali linee guida dell’ordine dei medici e come ribadito nella recente bozza del protocollo messo a punto da Bassetti. Si ricordi infatti che è proprio l’inefficacia della terapia domiciliare che spinge le persone, disorientate e spaventate, a recarsi al pronto soccorso al primo colpo di tosse o al primo starnuto – oltre l’80% vengono dimessi come codici verdi – causando ulteriori rallentamenti a danno di chi realmente necessita di un ricovero ospedaliero. L’intasamento degli ospedali infatti, sia nelle terapie intensive che nei normali reparti, ha come drammatica conseguenza la paralisi del sistema di cura di tutte le altre patologie croniche gravi, come recentemente ribadito da Perrone Filardi, presidente eletto della società italiana di cardiologia.

Chiaramente tale approccio non può prescindere da soluzioni più strutturali, sostenibili e durature che si spera possano arrivare presto. Tuttavia nel frattempo, parafrasando Sun-Tzu, la strategia vincente sul nemico Covid potrebbe essere proprio quella di vincerlo senza doverlo combattere, per tornare finalmente a vivere, smettendo di sopravvivere.