Costume
Da Meloni ai "gastro-post" di Salvini: la politica si fa col cibo (social)
Il cibo è una delle forme di comunicazione più efficaci, sfruttata in politica soprattutto da movimenti populisti e sovranisti: avanza il gastronazionalismo
Di Maria Carla Rota
“Viviamo in una società in cui avere un corpo magro significa possedere capacità di controllo, seguire buone abitudini di vita, quindi essere un buon cittadino. Questa ossessione per la dieta ha portato alla nascita di una vera e propria gastro-pornografia, in grado non solo di appagare simbolicamente un desiderio represso, ma anche di veicolare significati politici, identitari e comunitari".
Così Luisa Stasi e Sebastiano Benasso, autori del nuovo libro "Aggiungi un selfie a tavola - Il cibo nell'era dei food porn media" (Ed. Egea), spiegano ad Affaritaliani.it come si sta evolvendo il rapporto tra la società e il cibo, anche e soprattutto dopo la diffusione dei social media. “E’ un legame che nasce da lontano e che è al centro di un continuo processo di ri-mediazione: dai libri di ricette alle rubriche culinarie nei magazine generalisti, dalle riviste specializzate alle trasmissioni televisive, dai food blog alle videoricette veloci di Instagram, nel tempo c’è stato uno spostamento di linguaggi, piattaforme e media che hanno dato vita a un vero e propio meta-linguaggio".
IL FENOMENO DEL MUKBANG - La proliferazione dei discorsi intorno al cibo e la continua circolazione di immagini di alimenti 'proibiti' ha raggiunto anche forme estreme come il "mukbang", diffuso dalla Corea del Sud agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna all’Italia: le persone si mostrano sul web mentre mangiano enormi quantità di cibo spazzatura oppure alimenti strani e non molto appetitosi, come grandi molluschi crudi, e lo fanno rompendo qualsiasi regola di civilizzazione. Se noi siamo sempre stati educati a mangiare in modo silenzioso e composto, i divoratori web al contrario "fanno volutamente rumore e lo amplificano addirittura attraverso appositi altoparlanti, usano le mani, masticano a bocca aperta. Chi li segue dall'altra parte dello schermo vede realizzato e sublimato un piacere di cui non si può godere: è una sorta di edonismo alimentare, una moderna forma di carnevalesco, uno spazio di sospensione simbolica delle norme dietetiche in un contesto sociale in cui vige una morale rigidissima intorno ai confini corporei".
Senza arrivare a questi estremi, come interpretare l'abbondanza di selfie a tavola e scatti di piatti invitanti condivisi sui social network? “E' più che altro una grande rappresentazione, non c’è dietro un godimento autentico di quello che si mangia. I foodie di oggi sono la democratizzazione dei gourmet del passato, che appartenevano a un’élite: ci si mostra competenti, si fa vedere che si sa parlare di buon cibo e buon vino, si frequentano i posti giusti. Lo scatto su Instagram è l’equivalente della cartolina che veniva spedita un tempo dai luoghi di vacanza, per testimoniare una sorta di competenza turistica”.
AVANZA IL GASTRONAZIONALISMO - Un fenomeno che si intreccia anche a significati politici, identitari e comunitari: a cavalcare il gastronazionalismo sono soprattutto i movimenti populisti e sovranisti, anche se la politica a partire dal dopoguerra si è sempre appoggiata a contesti conviviali. Dalla nota cena romana del 1947 di Togliatti e Orson Welles a base di pizza e baccalà per confrontarsi sul piano Marshall, ai banchetti edonisti del socialismo craxiano, fino al "patto delle sardine", durante il quale si fece cadere il primo governo Berlusconi, a quello "della crostata" sulla temporanea non belligeranza tra destra e sinistra di fine Anni Novanta e quello "della pajata" per rinsaldare l’alleanza tra le diverse anime della destra nel 2010.