Costume

Fase 2, è ora di scrivere una lettera alle persone che amiamo. Ecco perché

Fase 2: prepariamoci ad uscire di casa, non a scappare a testa bassa

Di Maria Martello*

 

Che emozione: stiamo per tornare alla normalità!

Ma ci ricordiamo che la “normalità” era già piena di problemi e di difficoltà?

Con quale ricchezza o con quale ulteriore carico di problemi ci prepariamo al ritorno alla quotidianità?

Quali cambiamenti siamo determinati a fare?

Forse in questo lunghissimo “ritiro forzato ed angoscioso” abbiamo visto aumentare a dismisura le situazioni di conflitto, forse anche solo un tono un po’ sopra le righe ha scatenato una rissa.

O semplici sguardi e piccole reazioni aggressive, insieme a messaggi negativi ci hanno creato dolore, ed hanno aumentato, anziché alleviare, il dramma sanitario, economico e sociale in atto.

Le relazioni che abbiamo coltivato con il passare degli anni e che dovrebbero dare il senso dell’appartenenza e la sicurezza di essere riconosciuti e valorizzati per quello che si è, forse si sono rivelate deboli e superficiali. Magari sono state occasioni di delusione, di solitudine vissuta in compagnia, di incomprensioni ed insofferenza, di vessazioni, di sofferenza sovente né esplicitata, né condivisa, finanche di violenza e mobbing familiare.

Anche le discussioni possono aver assunto un andamento anomalo: forse si sono alzati i toni del linguaggio, il più forte, o il più prevaricatore, semplicemente si è imposto senza sforzarsi neanche di convincere.

L’armonia, la tenerezza, la serenità possono essere rimasti bisogni frustrati. E magari, a seguito dei condizionamenti di cui siamo vittime (non devono trapelare difficoltà, fatica, errori!), ci siamo sforzati di far finta che tutto sia a posto, in regola, in ordine, lindo e perfetto.

Tutto ciò ha comportato e comporta spreco di energie. Possiamo curarle per uscirne cresciuti ed accresciuti? Possiamo trasformarle in energia positiva, propulsiva di di cambiamento?

            Ha forse ragione Klingsor, il pittore protagonista del racconto scritto da Hermann Hesse nell’estate del 1919, che attraversando gli ultimi giorni del suo quarantaduesimo anno cd, insieme, della sua vita che si accingeva a condurre deliberatamente a termine, all’insegna di un cupo pessimismo conversava con l'amico astrologo “alla fine di un mese di luglio dissoltosi in fiamme”: “Ognuno ha le sue stelle, disse Klingsor lentamente, ognuno ha la sua fede. Solo ad una cosa io credo: al tramonto. Viaggiamo in una carrozza sull'orlo dell'abisso e i cavalli si sono fatti ombrosi. Noi siamo al tramonto [...] da noi, nella nostra vecchia Europa, tutto ciò che di buono e di peculiare avevamo è morto; la nostra bella ragione è divenuta follia, il nostro denaro è carta, le nostre macchine sanno soltanto sparare ed uccidere, la nostra arte è suicidio. Noi tramontiamo, amici, questo ci è dato in sorte […] Klingsor bevve e sussurrò con la sua voce un po' rauca: Si può forse evitare il proprio destino? C'è davvero una libertà di volere? Puoi forse tu, astrologo, dirigere in altro modo i miei astri'? Non dirigerli, posso soltanto leggerli. Dirigerli lo puoi solo tu” (H. Hesse, L’ultima estate dl Klingsor [Klingsors letzter Sommer], II ed. it., Milano, 1980, p. 64-69).

 

Ciascuno può, se lo vuole, ‘dirigere i propri astri’ per il proprio –e l’altrui- benessere: è necessario non cristallizzarsi sui torti subiti in passato, vicino o lontano che sia, da parte di una persona o del ‘destino’. Si può decidere per una rielaborazione condivisa delle ferite inferte o ricevute.

Si può considerare ogni relazione come un giardino che se coltivato quotidianamente offre lo spettacolo multiforme di profumi, colori, fiori e piante, ma se abbandonato a se stesso presto diventa una selva incolta. Sia che la convivenza forzata sia stata “un giardino” o un “campo pieno di rovi” Io propongo di scrivere una lettera ai familiari, semplice ma difficile perché è utile solo se davvero veritiera e scritta dal profondo.

Lo so, non siamo più abituati a scrivere, abbiamo il blocco del foglio bianco. Ma questo non è esercizio né di bella forma né di esibizione di saperi. Né ci sarà alcuno che ci valuterà di conseguenza.

Con un po’ di coraggio occorre superare impasse iniziale e il gioco è fatto: come un fiume in piena la penna si metterà a scorrere sul foglio sotto dettatura della parte più profonda di noi, magari trascurando la parte razionale. Ne saremo soddisfatti ed orgogliosi.

Allora suggeriamo a chi lo farà qualche traccia orientativa:

-i contenuti e lo stile ovviamente devono essere diversi secondo a chi si rivolge, partner o figli;

-mettere in chiaro i propri bisogni e le aspettative relativamente a questa convivenza familiare dai tempi dilatati;

-sottolineare le cose utili che si sono scoperte e si vorrebbero mantenere nel futuro da non reclusi;

-condividere qualche aspetto o comportamento che si è scoperto e apprezzato nell’altro.

 In ultimo non deve mancare un ringraziamento per quello che si è avuto e le scuse per quello che non si è saputo dare.

Il resto liberamente riguarda tutto ciò che il cuore vuol dire!

Questo è uno dei tanti modi per dire di sé quello che spesso si tace e attivare relazioni fondate sul riconoscimento dell'altro nella sua umanità, con i suoi limiti ed i suoi pregi: gli uni e gli altri egualmente importanti.

E’ infatti proprio la legittimazione dei demeriti, il loro riconoscimento e la loro ammissione che meglio fa risplendere i meriti.

E scopriremo così che uscire dal conflitto significa fruire di potenzialità nascoste: le stesse energie utilizzate per crearlo possono, infatti, essere trasformate sino a diventare la via per curarlo, per uscirne cresciuti ed accresciuti.

Usciamo quindi dalla “reclusione forzata” a testa alta e non più scalcagnati di quando vi siamo entrati.

 

maria.martello@tiscali.it  

Formatrice alla Mediazione per la risoluzione dei conflitti secondo il modello umanistico-filosofico da lei ideato, ha insegnato Psicologia dei rapporti interpersonali presso l’Università Cà Foscari, già Giudice on. Presso il Tribunale per i minorenni e la Corte d’Appello di Milano, autrice tra gli altri del volume “La formazione del mediatore” ed. Utet e “Mediatore di successo” ed. Giuffrè