Costume
Lavoro, le dieci regole del buon capo. Motivare coi soli bonus è demodè.
Le caratteristiche secondo D'Incau, tra i primi a parlare di questa tematica. Diversità ed inclusione sono un ulteriore mezzo per le imprese nei loro business
Motivare con i bonus è demodé. Sono ben altri i comportamenti di un buon capo oggi: capacità relazionali, competenze, promuovere fiducia. E per farlo la parola d’ordine è creare il consenso. Lo spiega Roberto D’Incau, headhunter & coach (nella foto), con un background culturale e professionale internazionale, autore de “Quasi quasi mi licenzio”, “Il lato Bimbo” e “Chi lavora non fa sesso”. E’ il fondatore di Lang&Partners, una delle più prestigiose società di consulenza HR italiane, trova fra le sue pietre miliari proprio la diversity & inclusion, intesa come modo di essere e di intendere il business. Roberto D’Incau è stato infatti tra i primi a parlare di queste tematiche, dove la diversità e l’inclusione rappresentano un ulteriore mezzo per aiutare le aziende a rafforzare il proprio businessed ed avere un tasso maggiore di innovazione per affrontare i mercati globali. Queste le dieci caratteristiche del buon capo, secondo D’Incau.
L’attenzione alle persone. E’ fondamentale, un’attenzione vera, non solo cosmetica. Vedo troppi executive unicamente orientati ai risultati di breve, poco strategici e poco attenti davvero al loro team. Alla lunga tutto ciò non paga, le aziende implodono perché i team di lavoro sono poco coesi e davvero motivati.
Capacità motivazionale. E’ la capacità di attivare non la motivazione estrinseca, fatta di bonus come l’auto che interessano ormai solo gli over 40 o over 50, ma quella intrinseca, fatta di una partecipazione quotidiana anche emotiva al progetto lavorativo. Un capo ispirante, che sappia anche mettere a terra la propria capacità di ispirare, sa motivare e di conseguenza fa salire il morale e l’autostima del team.
Resilienza. E’ la capacità di adattarsi al cambiamento: è fondamentale, al cambiamento positivo e negativo, sapere ripartire e non perdersi d’animo, o non farsi travolgere dal successo del momento: sono due facce della stessa medaglia
Velocità. E’ inutile negarlo, viviamo in un mondo velocissimo, e il business lo è altrettanto. E’ come navigare in un mare mai calmo, bisogna sapere essere veloci, senza però mai perdere la rotta.
Orientamento all’innovazione. Spesso si pensa a un leader innovativo come a un genio alla Steve Jobs: in realtà un capo orientato all’innovazione è chi utilizza le tecniche e le metodologie giuste per agevolare il cambiamento, “annusando” il nuovo che è nell’aria e avendo il coraggio di innovare in prima persona, e di far innovare il proprio gruppo
Creazione del consenso. Sapere creare il consenso è più importante che essere carismatico: molti capi corrono il rischio del “falso consenso”, quando si pensa di avere il gruppo con se e invece non c’è; bisogna sapere portare il team a guardare nella stessa direzione, certo accogliendo il dissenso quando serve. Se non c’è vero consenso non c’è azione.
Attenzione alle diversity. Valorizzare le diversity, e sono tante, è fondamentale sia per far star bene le persone che lavorano in un gruppo, facendole sentire tutte incluse, sia per valorizzare la capacità di innovare che è funzione diretta del livello di diversity di un leadership team: più un team è “diverso”, non omogeneo, più il fatturato legato all’innovazione sale. E’ dimostrato.
Capacità di ispirare. Sapere ispirare fiducia è fondamentale, e portare il team a condividere davvero il proprio progetto, è fondamentale. In generale, le persone fanno un po’ fatica a fidarsi davvero dell’azienda per cui lavorano e dei capi che li guidano: un capo ispirante è come un condottiero in cui l’esercito crede, può portare il team a vincere delle battaglie eclatanti.
Essere visionario. Avere una visione, sapere dove andrà l’azienda nel medio lungo periodo, guardando oltre il presente: non è da tutti, è sicuramente molto importante. Un capo non visionario vive con un orizzonte di breve, pensa a un anno da oggi, e ai propri bonus (troppo spesso). L’azienda però senza un capo visionario non va da nessuna parte.
Sapere mettere a terra i progetti. Può sembrare in apparenza una competenza opposta a quella precedente, in realtà è il suo complementare. Un capo può essere visionario finchè si vuole, ma se non riesce a mettere a terra i progetti, con il supporto del suo leadership team, resta un sognatore, uno che progetta ma non realizza. Ci vuole molta concretezza, oggi più che mai, perché con la velocità del business che vivevamo c’è il rischio di lasciare le cose incompiute, per inseguire la prossima, senza avere concluso nulla di buono.