Costume
Parla il re mondiale del melone. "Dolcezza garantita con il laser"
La storia di successo di Daniele Lorenzini
Il re mondiale del melone si chiama Lorenzini. E per combattere la concorrenza di paesi come Spagna e Francia, che pagano la forza lavoro rispettivamente la metà e un decimo rispetto all’Italia, punta sulla qualità. Grazie a una tecnologia giapponese, i meloni Lorenzini garantiscono la dolcezza a “scatola chiusa”. Affidarsi al naso non è più necessario: l’analizzatore al laser della giapponese Subitomo consente di selezionare i meloni con lo standard qualitativo di 14 gradi Birx, quello che misura glucosio, fruttosio e saccarosio. Vale a dire che la dolcezza è garantita. Se a ciò si aggiunge un sistema di tracciabilità da manuale e l’adozione dei migliori standard di agricoltura biologica, si può dire che a Sermide, in provincia di Mantova e a Pachino, dove Lorenzini ha una seconda sede, si coltivi l’eccellenza.
“Abbiamo puntato sulla qualità per combattere condizioni di totale svantaggio verso i competitor spagnoli e francesi che hanno una tassazione tre volte più bassa e pagano la forza lavoro rispettivamente la metà e un decimo rispetto a noi” racconta il fondatore, Daniele Lorenzini. In Italia il salario medio di un bracciante va da 7 a 14 euro orari, in Spagna da 5 a 7 mentre la Francia ha portato la paga oraria a 1 euro in Marocco: “i francesi sono riusciti ad equipararlo a paese europeo, azzerando dazi doganali su meloni, pomodori zucchine. Se a questo aggiungiamo che qui in Italia paghiamo il 300% in più di tasse rispetto a loro, abbiamo un’idea dello svantaggio competitivo. Ma siccome il nostro intento è di garantire una continuità ai nostri stagionali, noi procediamo nel rispetto delle regole e con etica”.
Daniele Lorenzini ha iniziato anni fa insieme alla moglie, psicopedagogista che lo ha seguito ed esortato nell’avventura dell’agricoltura bio e ha costruito un’azienda eccellente, che dà lavoro a 300 persone ed è stata richiesta da ICE come esempio di tracciabilità dei prodotti agricoli. “Possiamo tracciare ogni singolo frutto attraverso un sistema di marcatura indelebile. Prima l’adesivo poteva essere scambiato, noi abbiamo messo a punto un sistema laser che ci consente di scrivere un codice alfanumerico su ogni frutto; digitando come password il codice, il consumatore entra in banca dati e vede quanti zuccheri ha, quanto è dolce. Può addirittura risalire alla pianta che lo ha generato!”.
Con la certezza che qui la parola biologico non resta solo una parola. “Facciamo biologico dagli anni Ottanta, usando prodotti naturali e insetti predatori per combattere quelli nocivi. Addirittura viene svolto un monitoraggio pianta per pianta, al fine di evitare grossi impatti ambientali. Al consumatore finale arriva un frutto pulitissimo”. Lo stesso accade a Pachino, dove Lorenzini ha la sua seconda sede. Anche per il pomodoro, i problemi di concorrenza sono fortissimi. E anche in questo caso sono stati affrontati ricorrendo all’arma della qualità. “La Spagna ha costi del 50% inferiori. Ma in Italia abbiamo condizioni climatiche uniche al mondo e varietà migliori. Terreni fertili con salinità particolare che danno un sapore intenso ai prodotti. Il nostro pomodoro si riconosce mangiandolo e il gusto eccelso è frutto della varietà genetica e di condizioni pedo climatiche particolari”.
Tanta qualità è approdata solo di recente alla GDO, nella fattispecie negli angoli qualità di Carrefour, nei punti manor in Svizzera, negli Iperal valtellinesi. “Ma stiamo puntando al Nord Europa -continua Lorenzini che in azienda è affiancato dai tre figli – In Giappone è quasi impossibile anche se hanno il culto del melone tanto da battere all’asta il primo frutto dell’anno (nel 2019 è stato battuto a 24 mila dollari, ndr). I giapponesi hanno acquistato terreni in america latina e fanno un protezionismo feroce sulla merceologia”. Che non va giù, è la situazione in cui versa l’agricoltura italiana. “Abbiamo il 48% di contributi in più da versare rispetto ai competitor europei. Bisognerebbe denunciarlo senza ledere i salari dei braccianti. Noi diamo buste paga che partono da 1600 euro più indennità di disoccupazione invernale per arrivare intorno a duemila euro lordi: i più qualificati raggiungono i tremila. Capite che è un po’ diverso dall’euro l’ora dei francesi in Marocco?”. Anche gli olandesi si sono messi a fare meloni. “Prodotti bellissimi, controllati da computer. Coltivano fuori suolo, iniettano un po’ di elementi che servono. I frutti escono tutti uguali come colore e dimensione ma io li definisco acqua in scatola. Cloni artificiali in soluzione acquosa”. Il made in Italy, vince anche sul melone.