Costume
Parlamentari con background meno convenzionali: cosa hanno studiato i politici?
La laurea in Giurisprudenza resta una delle più comuni, seguita da Scienze politiche, Economia e, in misura minore, Lettere e Filosofia
Formazione dei Parlamentari Italiani: tradizione, eccezioni e la sfida della trasformazione digitale
Il Parlamento italiano, composto dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica, rappresenta l'istituzione centrale del sistema costituzionale italiano: dopo l’ultima riforma della legge costituzionale, infatti, i deputati sono passati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. Nell’immaginario collettivo, si pensa spesso che la classe politica italiana segua percorsi formativi tradizionali, con una forte prevalenza di lauree in scienze politiche o giurisprudenza, aree che più di altre sembrano facilitare l’ingresso nel mondo istituzionale e della governance pubblica. Sebbene ciò sia vero per una larga parte dei 600 parlamentari, esistono però alcune eccezioni interessanti, che raccontano di percorsi formativi e background accademici meno convenzionali e, in alcuni casi, piuttosto lontani dagli studi che si associano solitamente alla carriera politica.
Formazione tipica e atipica dei politici, da giurisprudenza a medicina
Dall’analisi dei percorsi di studio dei parlamentari italiani - grazie ai dati diffusi dal portale Pagella Politica - emerge come alcuni percorsi accademici si ripetano con una certa frequenza, rispondendo a schemi che si sono consolidati nel tempo.
La laurea in Giurisprudenza resta una delle più comuni, seguita da Scienze politiche, Economia e, in misura minore, Lettere e Filosofia. Queste aree disciplinari sembrano rispondere a competenze essenziali per chi aspira a ruoli di rappresentanza e di gestione pubblica, dotando i futuri parlamentari di competenze legate alle norme giuridiche, alle dinamiche economiche e alla gestione delle relazioni istituzionali.
Al tempo stesso, però, l’attuale composizione parlamentare mostra anche la presenza di percorsi accademici molto meno scontati. Ad esempio, alcuni esponenti presentano titoli in settori scientifici e sociali, come Medicina e Sociologia, offrendo un quadro di competenze e prospettive più ampio e diversificato. C’è persino qualche caso isolato che afferisce all’ambito delle Arti, della Psicologia, dell’Agraria e dello Sport. Questo mix di studi può aggiungere valore al Parlamento, arricchendo la capacità di analisi e l’approccio alle politiche pubbliche. Anche a livello Regionale ci sono delle differenze: le due eccezioni più peculiari alla regola per la quale Giurisprudenza sarebbe sempre la maggioranza sono il Molise, dove prevalgono le Scienze Sociali, e il Trentino-Alto Adige, dove sono le Scienze Umane a dominare.
Percorso di studi di Giorgia Meloni, Salvini e degli altri esponenti del Governo
Non diamo per scontato, però, che tutti i parlamentari e i membri del Governo siano laureati, c’è anche una buona percentuale di diplomati che non hanno mai conseguito la laurea. Se si prende come campione quello composto dai 200 Senatori oggi attivi, i dati del sito ufficiale del Senato affermano che la maggioranza ha conseguito un diploma di laurea, con 88 membri sul totale. Seguono 49 senatori in possesso di un diploma di istruzione secondaria superiore, a dimostrazione della presenza di rappresentanti senza un titolo universitario.
Per quanto riguarda i percorsi accademici avanzati, 18 senatori hanno ottenuto un dottorato di ricerca, mentre 32 hanno completato una laurea universitaria articolata in vari percorsi, tra cui la laurea specialistica a ciclo unico, la laurea di primo livello, la specialistica o la magistrale. A questi si aggiungono 9 senatori con un master universitario e 5 con un diploma di specializzazione. Chiudono il quadro 2 senatori con la licenza media, uno con la sola licenza elementare e uno che non ha indicato il proprio titolo di studio.
Anche all'interno dell'attuale governo, alcuni dei principali leader italiani, a partire da Giorgia Meloni stessa, presentano percorsi di formazione accademica che divergono dalla tradizione politica più consueta: il Presidente del Consiglio ha conseguito un diploma di maturità linguistica presso l'Istituto tecnico professionale Amerigo Vespucci di Roma, senza poi proseguire con studi universitari, pur essendosi poi iscritta all'albo dei giornalisti. Il Vicepresidente Matteo Salvini ha frequentato il corso di laurea in Scienze politiche all'Università Statale di Milano, ma senza portare a termine il percorso. Allo stesso modo, il neo-ministro alla Cultura Alessandro Giuli ha completato tutti gli esami della facoltà di Lettere e Filosofia presso La Sapienza di Roma, senza però discutere la tesi finale.
Altri esponenti governativi presentano invece lauree più tradizionali, confermando l’assunto iniziale da cui siamo partiti: la laurea in Giurisprudenza è la più comune tra i membri del governo, con rappresentanti come Antonio Tajani, Giuseppe Valditara, Annamaria Bernini, Francesco Lollobrigida, Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Paolo Zangrillo. La ministra per le Riforme istituzionali Maria Elisabetta Alberti Casellati è l’unica ad aver conseguito ben due lauree: una in Giurisprudenza all’Università di Ferrara e una in Diritto canonico alla Pontificia Università Lateranense.
Anche l’ambito Economia & Management conta diversi laureati, come Giancarlo Giorgetti, Gilberto Pichetto Fratin, Marina Elvira Calderone e Andrea Abodi. Daniela Santanchè è invece la sola laureata in Scienze politiche.
Tra i percorsi più atipici, troviamo le lauree in Medicina e Chirurgia per Orazio Schillaci e Roberto Calderoli; Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, e Alessandra Locatelli, ministra per le Disabilità, hanno invece una formazione in Sociologia. Nello Musumeci è laureato in Scienze della comunicazione, mentre Eugenia Maria Roccella vanta una formazione in Lettere moderne con anche un dottorato di ricerca; anche Luca Ciriani è laureato in Lettere moderne.
Questi background accademici eterogenei aggiungono sicuramente prospettive nuove e, forse, modalità di pensiero meno convenzionali al dibattito politico, ma qualche domanda ce la si pone di fronte al quadro d’insieme: in un mondo che sta andando verso la completa digitalizzazione, dove il dibattito sull’Intelligenza Artificiale è all’ordine del giorno, è possibile che nessuno dei parlamentari e dei politici alla guida del Paese abbia un percorso di formazione specifico in Ingegneria, Informatica o materie afferenti al Digitale?
La trasformazione digitale richiede competenze specifiche che vadano oltre la conoscenza delle tecnologie di base, poiché tocca ambiti delicati, come la cybersecurity, l’AI e la gestione dei dati. Figure con competenze ingegneristiche o informatiche potrebbero apportare una visione tecnica e pragmatica alla legislazione su temi complessi, come la regolamentazione delle piattaforme digitali, la protezione dei dati e l’innovazione infrastrutturale.