Cronache
18enne pugliese detenuta in Kazakistan. L'amica: "Segregata dalla polizia"
L'incubo di Amina, 18enne pugliese accusata di traffico internazionale di stupefacenti. L'amica di famiglia ad Affari: "Tajani ha promesso che ci aiuterà"
Amina, 18enne pugliese detenuta in Kazakistan. L'amica di famiglia ad Affari: "Ecco come ho chiesto a Tajani di aiutarci". Il racconto delle violenze
Quasi cinque mesi lontano dalla sua casa, Lequile (in provincia di Lecce), detenuta in un carcere di Astana, la capitale del Kazakistan, dove la giovane si era recata con la madre Assemgul Sapenova, per visitare alcuni parenti che vivono lì. È la storia, anzi l’incubo della 18enne italiana Amina Milo Kalelkyzy, arrestata formalmente l’11 luglio scorso con l’accusa di traffico internazionale di stupefacenti, accusa per la quale rischia dai 10 ai 15 anni di carcere.
Diciamo formalmente perché Amina, secondo quanto ricostruito dai suoi genitori e dal suo legale, era stata fermata ad Astana dalla polizia per la prima volta il 18 giugno, mentre passeggiava con un coetaneo del posto. Il ragazzo avrebbe avuto con sé dello stupefacente ma Amina "non sapeva che il ragazzo avesse della droga, e anche gli esami tossicologici non hanno evidenziato la presenza di alcuna sostanza nel suo sangue”.
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A ricostruire la storia della giovane, parlando con Affaritaliani.it è Donatella Fiorentino, madre di Marco, migliore amico di Amina, a cui la famiglia della ragazza si è rivolta disperata per “cercare di fare qualsiasi cosa per sensibilizzare l’opinione pubblica in Italia”, dopo un primo momento in cui la giovane aveva cercato di tranquillizzare tutti, sicura che la polizia non appena si fosse resa conto dell’errore l’avrebbe fatta uscire.
Dopo una prima notte di fermo, però, Amina sarebbe stata portata due agenti di polizia in un appartamento privato. “Devi seguirci perché sei in pericolo” racconta ad Affaritaliani.it Donatella, riferendo l’accaduto. “Amina pensava si trattasse di un problema di permesso di soggiorno e per timore ha seguito i due poliziotti”. Da quell’appartamento uno di loro avrebbe chiamato la madre della giovane, Assemgul Sapenova, chiedendole 60mila euro per il rilascio di sua figlia. La donna a quel punto, su consiglio dell'avvocato Sekerov, aveva deciso di rivolgersi all'ambasciata italiana, che dopo 16 lunghi giorni durante i quali la diciottenne sarebbe stata “maltrattata, picchiata e segregata dalla polizia, subendo diversi tentativi di stupro”, aveva ottenuto il rilascio della 18enne.
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Una liberazione illusoria, visto che pochi giorni dopo, precisamente l'11 luglio, Amina è stata nuovamente convocata dalla polizia che l'ha arrestata per traffico internazionale di droga, dopo averle fatto firmare dei documenti che la giovane non comprendeva perché, vivendo in Italia da quando aveva otto anni, non parla né russo né kazako.
Da quel momento è partita una lunga catena di solidarietà proprio da Donatella: “Grazie alla mia amica Mimma Antonaci della Croce Rossa, prima attraverso il dottor Vincenzo De Giorgi, poi attraverso Mauro D’Attis, e gli onorevoli Andrea Caroppo e Raffaele Fitto, la famiglia di Amina è riuscita a far arrivare la relazione scritta di mio pugno sul tavolo del ministro degli Esteri Antonio Tajani. Proprio questa mattina il ministro si è incontrato con gli onorevoli, quindi a breve avranno qualche notizia”. Sempre di Donatella, racconta la donna ad Affari, è stata l’idea di far scrivere ad Amina il famoso bigliettino poi giunto all’Ansa: “Amina non può assolutamente scrivere lettere, tantomeno in italiano. Lei già usava i bigliettini per comunicare con mio figlio, e mi è venuta l’idea di far scrivere un biglietto di aiuto. Sono biglietti che scrive di nascosto, di cui la madre fa le foto per poi distruggerli”.
“Chiedo aiuto all’Italia e in particolare al ministro Antonio Tajani: vi prego, voglio tornare a casa” si legge.
Amina Alibek Sekerov
“Amina sta malissimo – continua Donatella - ha perso nove kg, la madre le porta da mangiare ma lei lo distribuisce alle compagne. È caduta in depressione (certificata dallo psichiatra) e ha tentato due volte di tagliarsi le vene. Io ho contattato anche la Farnesina,. Quello che posso dire è che ad oggi c’è un documento ufficiale dell’ambasciata che per il momento tengo riservato. Il contenuto è che l’ambasciata dichiara che Amina era chiusa nella casa illegalmente”.
E' di queste ultime ore, peraltro, la notizia che i due poliziotti che hanno tenuto prigioniera Amina per 16 giorni nell'appartamento privato sono indagati per tortura. Nel frattempo "mio figlio Marco e gli amici di Amina vogliono organizzare una fiaccolata per lei, e pensano di farla a Lequile. Amina non è sola, la riporteremo a casa".