Cronache

Aiuto al suicidio: l'ideologia, la razionalità e la realtà

Di Daniele G. Marchetti
Biologo, Epistemologo perfezionato in Bioetica

Dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale sul cosiddetto caso “Cappato-Dj Fabo” relativamente alla distinzione tra istigazione ed aiuto al suicidio, le invettive scagliate contro il concetto cattolico di vita (ultima in ordine di tempo quella del dott. Corrado Augias alla trasmissione "Carta Binaca") appaiono, se possibile ancora più improvvide oltre che improprie anche dal punto di vista scientifico.

Il campo è di quelli minati per cui la prudenza appare regola opportuna oltre che necessaria.

Ciò detto, la definizione della “vita come dono” è, semplicemente e prima di tutto, una costatazione: una presa d’atto della realtà sia sul versante umano che sul versante dell’innumerevoli manifestazioni di vita presenti in natura.

Un dono di cui l’uomo (alla stregua di ogni forma di vita) è destinatario ed in ciò -come asseriscono i propugnatori del pensiero laicista- libero “proprietario”. Libero ma anche, come è possibile imparare dalla natura che affina ogni arma per mantenere, promuovere e propagare la vita, responsabile!

Ma se per l’uomo dovesse valesse il principio -da molti intellettuali asserito- per il quale della vita, proprio perché è un dono fatto all'individuo, solo a lui, quindi “sua proprietà” ed in funzione di ciò può disporne e farne come meglio crede; lo stesso principio dovrebbe valere anche per le Istituzioni nazionali a cui è "donata la proprietà” dello squarcio di natura presente sul proprio territorio.

Con ciò, quindi, non dovrebbero scandalizzare le parole del Presidente Jair Bolsonaro quando, dall'Assemblea generare dell’ONU, rivendica la foresta amazzonica non già patrimonio dell’umanità ma bensì come proprietà esclusiva del Brasile. Ed in quanto dono fatto in via esclusiva al Brasile, la sua Nazione ne è proprietaria e ha il diritto di farne ciò che crede. Anche di bruciarla o abbatterla tutta con tanti saluti per la salute dell'intero globo terrestre.

E -continuando sul sentiero laicista- se ognuno, per propria libertà, distruggesse la sua proprietà (ovvero, la sua vita e quanto di mondo naturale possiede) che ne sarebbe del futuro della specie umana e della natura?

Da uomo, prima ancora che da biologo cristiano, credo che la vita sia una proprietà donata in un condominio di proprietà altrettanto donate. E la cura di ogni proprietà attuata da ogni inquilino è ragione di vita per l’intero quartiere. Mentre il contrario risulterebbe motivo di inesorabile distruzione.

Ogni singola vita è, per tutti, pietra d’inciampo!

Delineato il valore personale e comunitario (la specie è una comunità naturale iper-coesa ed iper-gelosa del dono ricevuto) della vita è poi certamente utile passare, con estrema prudenza e delicatezza, ad analizzare le singole situazioni in cui quel dono si trasforma in sofferenza immane.

Per tali compassionevoli situazioni la saggezza della Corte ha, con scrupolosa concretezza ed estremo rigore, delineato condizioni specifiche (1.paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale - 2.paziente affetto da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili – 3.paziente pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli) verificate le quali sia “non lecito” ma bensì “non illecito” intervenire.

Extrema ratio che non nega ma anzi esalta il valore della vita umana quale dono al singolo, alla Comunità naturale ed umana.