Cronache

Emilia Romagna, alluvionati multati perché hanno lasciato le macerie in strada

di Antonio Amorosi

Multe da 600 euro se si paga subito, altrimenti... Il caso delle sanzione per la catasta di rifiuti trovati per strada

Oltre i danni  pure la beffa: gli alluvionati ora devono pagare la multa per i rifiuti in strada nelle cataste collettive. Il caso di Andrea M. sentito da Affaritaliani

Quello che sta succedendo in queste settimane a Castel Bolognese, in provincia di Ravenna, andrebbe studiato nei manuali di storia, per comprendere che cosa sia diventata l’Italia del ventunesimo secolo.

Secondo voi è possibile comminare una multa per rifiuti accatastati in strada a persone che hanno perso tutto a causa dell’alluvione? Ma qual è la mente che può pensare una cosa del genere e poi la mette anche in pratica? In Italia sì, si può. Se sei vittima di una calamità naturale, oltre il danno arriva la beffa. Sì perché se il tornado ti ha sbarellato tutto ma poi non poggi a terra le macerie in modo differenziato e nel posto giusto arriva Legambiente, con il suggello dalle istituzioni dell’Emilia Romagna, a farti la multa di oltre 600 euro, sempre se paghi subito ovviamente altrimenti lievita, per “rifiuti abbandonati sul suolo stradale”. Perché, scusate, dove devono rimanere i rifiuti di una catastrofe? Sospesi in aria, differenziati direttamente nei cassonetti o nella discarica? O bisogna tirar su due soldi così. 

Chi ha avuto la sfortuna di attraversare la Romagna nei giorni post alluvione del 15 e il 17 maggio scorso sarà rimasto folgorato dal paesaggio lunare: un’infinita distesa di cataste di mobili, stracci, arnesi, immondizie di ogni genere accumulate ai bordi delle strade facendo apparire il territorio come una landa desolata senza un domani. Vie di comunicazione sbriciolate, ponti crollati, macchine inondate e distrutte, persone senza rifugio, animali annegati tra le macerie, disperati che avevano perso tutto e a rischio di infezioni gravi per la carica batteriologica dell’acqua alta stagnante che non defluiva.

Per giorni in tanti hanno combattuto una battaglia impari: i romagnoli, con i coraggiosi volontari, provavano a mettere la testa fuori dal fango che li aveva sepolti mentre l’acqua continuava a colpire impetuosa. Ma li vedevi lì, notte e giorno, anche per la gioia del melodramma mediatico che innalzava gli share televisivi, a spalare rifiuti, senza sosta, in modo celere, per evitare che l’arrivo del sole trasformasse il dramma in disastro totale, solidificando il fango, ancora molle per la presenza dell’acqua, in cemento. 

Ora mettetevi nei panni di uno di loro che per motivi di privacy chiamiamo Andrea M. e della sua famiglia e facciamo un passo indietro.

Andrea M. è lontano da casa per lavoro. Riceve le prime informazioni sul nubifragio e cerca immediatamente di raggiungere moglie e figlio, isolati dalle acque, appollaiati sul tetto, in attesa dei soccorsi. Per quanto avessero chiesto assistenza (fino a che i telefoni funzionavano) per un errore non comparivano neanche negli elenchi dei centri operativi d’aiuto. Prova a raggiungere i suoi cari con i mezzi di soccorso ma la casa è isolata, la corrente violenta delle acque spazza ancora ogni cosa. Riesce finalmente a raggiungere i suoi, in casa c’è un metro di fango. Si mettono in salvo. Poi la piena si allenta, inizia il tentativo di salvare il salvabile.

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