Cronache
Caso Scagni, lettera delirante del fratello. Gli avvocati rimettono l'incarico
Verso il processo all'uomo che ha ucciso la sorella a Genova
Delitto Scagni, Alberto torna a scrivere una lettera (incomprensibile) a sua madre, che lo difende
Alberto Scagni, che da un anno sconta la sua pena presso il carcere di Genova per aver accoltellato e ucciso sua sorella Alice il 1 maggio dello scorso anno, torna a far parlare di sé a pochissime settimane dall’inizio del processo: la prima udienza è fissata per il 9 giugno.
All’indomani dell’anniversario della morte di Alice Scagni, il fratricida 43enne aveva scritto una lettera destinata a sua madre, Antonella Zarri, dal contenuto ripetitivo e apparentemente incomprensibile. Questo riapre nuovamente il dibattito sulla presunta infermità totale o meno dell’imputato Scagni, che al momento è stato ritenuto dal consulente della Procura in grado di sostenere il processo che lo attende a breve.
La lettera di Alberto Scagni
I genitori dell’uomo invece, assistiti dal legale Fabio Anselmo, continuano a sostenere il contrario. Per questo, il giorno dell’anniversario la madre di Alberto Scagni ha fatto sapere di essere andata a far visita al figlio e rivolgendo aspre parole contro la gestione giudiziaria del caso: “Io, Antonella Zarri Scagni sono andata a trovare mio figlio Alberto in carcere. L’assassino di mia figlia Alice. Il consulente del Pubblico Ministero non sa nemmeno di che parla. Per lui e per l’ufficio che rappresenta noi siamo solo pedine di un risiko dove debbono vincere loro senza rendersi conto che a perdere sarà la credibilità dello Stato”.
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Alberto Scagni, i legali abbandonano la sua difesa: “Inconciliabile”
Alberto Scagni resta, per la seconda volta, senza difensori. Dopo la rinuncia a difenderlo da parte del primo team di legali, - Maurizio e Guido Mascia e Elisa Brigandi – ora anche quello che aveva preso in carico il mandato, composto da Simone Cometti Queirolo e Michela Beatini, ha dato forfait. Lo hanno annunciato con queste parole: “Abbiamo deciso di dismettere il mandato - conferma Queirolo Cometti - perché non siamo riusciti ad avere una linea comune con il nostro assistito. E non sarebbe stato corretto proseguire". La motivazione del dietrofront, come riportano Il Secolo e Repubblica, sarebbe l’impossibilità per i legali di concordare una linea difensiva per la gestione del processo e dunque, divergenze con l'assistito.