Cronache

Coronavirus, Cina-Italia: i dati a confronto non tornano. L'ANALISI

di Alessandro Amadori (Istituto Piepoli)

QUAL E’ LA VERA FORMA DELLA CURVA EPIDEMICA CINESE? E A CHE PUNTO DELL’EPIDEMIA SIAMO?

Per cercare di capire a che punto siamo nella curva epidemica in Italia, oltre che considerare i nostri dati può essere utile fare un confronto fra l’andamento dell’epidemia in Cina e quello, a oggi, appunto in Italia. Qui di seguito potete vedere le due curve (cinese e italiana), sovrapposte in quanto sull’asse delle ascisse il tempo è riportato come “giorni di epidemia”, non come data di calendario. Questo consente di fare un raffronto più agevole tra le forme delle curve (in cui sono indicati i “nuovi casi totali” giornalieri). E ci fa accorgere subito di una stranezza nella curva cinese.

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Il grafico appena visto riporta come detto la spezzata “ufficiale” dell’andamento dei nuovi casi totali in Cina (sovrapposto all’andamento in Italia), nella quale è presente un evidente “outlier” (valore estremamente anomalo). Ufficialmente, quel valore (oltre 14.000 casi in più da un giorno all’altro) è dipeso dal fatto che, in Cina, appunto da un giorno all’altro si è cambiato il criterio di classificazione. Invece di attendere l’esito dei tamponi per ufficializzare i nuovi casi, si è deciso di includerli anche sulla base della sola valutazione clinica. In altre parole, invece di avere la diagnosi “da laboratorio”, si è accettata una diagnosi “sintomatica”. Così, chi mostrava di avere una polmonite acuta e anomala, veniva diagnosticato come Covid-19 senza attendere il riscontro di laboratorio. Sorprendentemente però, a parte il giorno dopo (13 febbraio) con oltre 5.000 nuovi casi, dal secondo giorno in poi (ossia dal 14 febbraio), pur valendo  il nuovo criterio di classificazione, i nuovi casi sono precipitati a poco più di 2.500. Come se si fossero risolti tutti, concentrati tutti, in quel fatidico 12 febbraio, due giorni prima di San Valentino. E da quel giorno in poi la curva epidemica cinese ha preso un andamento accelerato verso il basso. Così, l’intero arco epidemico principale (non l’epidemia nel suo complesso, ma la sua fase maggiore), in Cina, è durato una trentina di giorni.

Questo tipo di morfologia della curva epidemica suscita indubbiamente delle perplessità.  In ogni caso, dobbiamo prendere i dati per validi, e provare a ragionare più a fondo sulla “struttura” della curva . Innanzitutto, c’è il problema di trattare quell’outlier da oltre 14.000 casi. Ufficialmente, i casi veri del giorno 12 febbraio, il giorno dell’outlier, sarebbero stati in realtà 1.508 (portati poi contabilmente a 14.108 per il motivo che abbiamo visto). Assumiamo questi 1.508 nuovi casi totali del giorno come il dato  “vero” del 12 febbraio 2020. Allora dobbiamo ridistribuire all’indietro (14.108 - 1.508) = 12.600 casi, che c’erano già prima che venissero diagnosticati formalmente. Li ho appunto redistribuiti all’indietro spalmandoli, per semplicità, in modo uniforme. Restava però un altro problema, cioè un secondo outlier. Perché dopo i presuntivi 1.508 casi effettivi del  giorno 12, il giorno 13 ce ne erano comunque 5.090, di nuovo un outlier. Allora sui due giorni in questione, 12 e 13 febbraio, ho fatto una media fra questi due valori (1.508 e 5.090), mettendo la media al posto dei dati grezzi “veri”. Ne esce una curva in qualche modo “normalizzata” (uso qui il termine “normalizzazione” in modo improprio, e me ne scuso con gli statistici. E’ per rendere l’idea).

Il grafico che segue riporta l’andamento dei nuovi casi totali in Cina (curva “normalizzata”) e in Italia (curva effettiva, senza alcun trattamento). Ho poi aggiunto le curve delle funzioni che si “adattano” ai dati, due polinomi, uno di quarto grado per la Cina e uno di sesto grado per l’Italia. Inoltre, con una linea rossa sull’asse del tempo (giorni di epidemia) ho indicato il momento in cui in Italia è stato introdotto il blocco quasi-totale, esattamente un mese dopo l’inizio dell’epidemia. Infine, un altro piccolo sforzo: ho aggiunto due rette, sottili e azzurre, che indicano in modo approssimativo la tendenza (pendenza) della fase due delle curve, in Cina e in Italia. Si vede chiaramente che quella cinese va giù più in fretta. L’angolo “alfa” che queste due rette formano è una misura della diversa velocità di discesa delle curve, nella “fase due” (anche qui mi esprimo impropriamente; in questo caso chiedo scusa agli epidemiologi).

 

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In sintesi, ufficialmente il nostro arco epidemico principale è più “alto” e più esteso temporalmente rispetto a quello cinese. Nettamente più esteso. E anche dopo l’introduzione del blocco “quasi totale”, la discesa non è stata a oggi veramente rapida, come avrebbe fatto supporre la curva cinese. L’abbozzo di risalita degli ultimi giorni dipende sicuramente dal maggior numero di tamponi fatti. Le ipotesi sono due. O le nostre misure di contenimento sono meno efficaci di quelle cinesi (anche perché da noi non c’è il quasi-coprifuoco adottato in Cina). O la curva reale dell’epidemia in Cina non è andata come risulterebbe dal grafico ufficiale. O un misto delle due cose.  Non sto affermando che i cinesi non siano stati sinceri. Sto solo dicendo che, se abbiamo noi dei problemi a misurare con precisione il fenomeno, potrebbero averli avuti anche i cinesi (e forse anche più gravi dei nostri). Ed è preoccupante che in questi giorni la Cina stia dichiarando nuovi casi “di importazione”.

Infine, e sarà solo una suggestione visiva, ma le funzioni di andamento che si adattano ai dati (e che non vanno usate per effettuare una previsione, perché descrivono bene,  sinteticamente, solo l’andamento registrato) mostrano una forma a onda, con possibili “code” di risalita, sia in Italia che in Cina. Danno proprio l’idea di un’onda epidemica, simile a uno “tsunami” (parola giapponese che significa “l’onda che entra nel porto”) In conclusione. I dati cinesi vanno approfonditi. Abbiamo il dovere, e il diritto, di farlo. Perché questa epidemia riguarda tutto il mondo. E capire la forma della curva epidemica non è un elemento secondario in questa battaglia.  E noi, in Italia, non dobbiamo  abbassare la guardia. Dobbiamo imparare a convivere con questo problema, finché non sarà stato risolto. I nostri dati sono incoraggianti, analizzando il trend dei nostri numeri avevo fatto questa affermazione ancora prima che la curva epidemica da noi cominciasse a decelerare.  Ma proprio per questo  non dobbiamo abbassare la guardia. Dobbiamo invece, e possiamo, trovare dentro di noi, e insieme agli altri, la serenità per affrontare una “fase due”, la cui forma, come si vede, ci chiede pazienza.