Cronache
Csm, "Falcone? Bocciato dalle correnti": 30 anni prima del caso Palamara

I documenti di quelle audizioni sono stati pubblicati dal Csm, ma il loro contenuto è poco conosciuto
È un libro, questo, che forse sarebbe piaciuto a Leonardo Sciascia, per come sa far emergere dei fili narrativi da un documento storico. "Questi documenti - spiega Livio Crescenzi - hanno un valore letterario, e personalmente sono un grande estimatore di Sciascia. Per me, non esperto di mafia, l'interesse per questi testi e' narrativo. Sono spogli da ogni retorica, parlano due italiani a cui questo Paese deve moltissimo. Qui c’è un romanzo, l'amicizia tra due uomini che nascono a pochi metri di distanza e si frequentano fin da bambini, condividono un impegno professionale, una comune Weltanschauung, e una visione di una Sicilia che amano e non sopportano cosi' com'era. E muoiono a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro, poco più che cinquantenni: due Dioscuri, appunto".
"I componenti di quel Csm - interviene Mannucci Pacini - ignorarono, ignorarono consapevolmente, il ruolo che Falcone e Borsellino avevano avuto nel maxiprocesso iniziato nel 1986. Ignorarono tutto cio' che dovettero subire sul piano personale, familiare, non solo in termini d'isolamento, di lavoro senza limiti, ma anche in termini d'intimidazioni, di conflitti, di contrasti, di mancata condivisione da parte delle istituzioni".
"Molti fatti della loro vita - aggiunge il presidente della Corte d'Assise di Milano, che una passione per il teatro ha portato a impersonare Falcone in una pièce su Borsellino - presentano una teatralità tragica. Chi voglia mettere in scena quegli eventi storici, già potrebbe farsi un'idea: l'attentato fallito all'Addaura, i due attentati del 1992, sono fatti quasi teatrali. Noi portiamo in scena uno spettacolo che ha proprio come base il momento dell'esplosione. Da lì parte una ricostruzione, con dei flashback, della vita, così come emerge da quelle audizioni, di questi due ragazzi della Kalsa di Palermo"; e di un "approccio siciliano alla vita nel segno, quasi, dell’inevitabilità di alcune cose, del fatalismo; una cosa che noi sardi, pur isolani, non abbiamo".
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