Cronache
De Lucia su Affari: "Messina Denaro? Cosa nostra vuole le sue ricchezze"
L'intervista al procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, a capo delle indagini che hanno portato all'arresto del superlatitante
Messina Denaro, il procuratore di Palermo De Lucia: "Corsa contro il tempo per trovare le ricchezze del boss"
Sembra esser avvenuto ieri l’arresto di Matteo Messina Denaro, l’ultimo mafioso stragista, il criminale più ricercato al mondo. Trent’anni di latitanza terminati lo scorso 16 gennaio, a Palermo. Da quel giorno l’ex boss ha continuato a far parlare di sé, sia per le indagini che si sono intensificate attorno alla sua figura, sia per le condizioni di salute che sono apparse sin da subito precarie a causa di un tumore al colon in stadio avanzato.
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Sono gli ultimi giorni per Messina Denaro, ricoverato all’ospedale de L’Aquila. Giorni in cui l’ex latitante non ha indietreggiato in alcun modo rispetto alla volontà di non collaborare con chi è riuscito ad arrestarlo.
Tante le domande e anche i dubbi che rimangono: si è trattata davvero di una cattura? Oppure l’ultimo stragista si è lasciato prendere perché stremato dalla malattia? Che cosa succederà dopo la sua morte? Qual è il futuro di Cosa nostra e come lo Stato si sta preparando ad affrontarlo? Affaritaliani.it ne ha parlato con il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, colui che ha coordinato le indagini dei carabinieri del Ros che hanno portato all'arresto del superlatitante. Arresto raccontato nel libro, scritto a due mani con l’inviato Salvo Palazzolo: “La cattura: I misteri di Matteo Messina Denaro e la mafia che cambia” (agosto 2023, Feltrinelli, 240 pagine).
De Lucia, vede possibilità di collaborazione da parte di Matteo Messina Denaro?
Non posso fare profezie. Sicuramente il suo “no” è in qualche modo da lui motivato e ricondotto alla sua formazione e al rispetto di suo padre. Allo stato non c’è alcun elemento che ci porti a dire che possa cambiare in qualche modo idea.
Le indagini non si sono mai fermate dalla sua cattura. Nel suo covo di Campobello di Mazara ci sono quasi mille pizzini: si sono fatti passi in avanti nella loro decifrazione?
Non si tratta di messaggi in codice; si tratta di inserire però certi messaggi all’interno di un sistema di conoscenze che abbiamo e capire qual è la loro importanza. Un lavoro non semplice, che richiede tantissimo tempo e un impegno non indifferente ed esperti che conoscano la storia del latitante e delle famiglie mafiose del territorio. Sono comunque messaggi da interpretare, che abbiamo affidato a degli esperti.
Lavori ancora in corso, insomma. E sugli aiutanti di Matteo Messina Denaro che hanno favorito la sua latitanza? Oltre Andrea Bonafede (attualmente a processo, ndr) sono stati identificati altri favoreggiatori?
Sì, ovviamente non posso dire se stiamo o meno identificando un soggetto. Quello che posso dire è che è vero che per anni Messina Denaro è stato protetto da molte persone che si sono succedute nell’opera di protezione. Le nostre attività sono quella di individuare i patrimoni e tutti i favoreggiatori. Naturalmente più si va indietro nel tempo più diventa difficile.
Lei stesso ha definito i patrimoni di Messina Denaro come i veri “tesori” dell’ex boss. Perché?
Sì, anche perché la lotta alla mafia passa anche attraverso la sottrazione dei beni ai boss. Una larga parte dei patrimoni relativi a Messina Denaro e alla sua famiglia è peraltro già stata individuata ed è già stata oggetto di sequestro e confisca. Per esempio nell’ambito della grande distribuzione, anche anni fa, sono state sequestrate catene di supermercati. Oggi stiamo lavorando per quella parte di patrimonio che sappiamo esiste ma che non siamo ancora in grado di sequestrare perché non abbiamo identificato tutti i prestanome. Ma ne abbiamo individuati, così come abbiamo individuato alcuni beni in questione, che ovviamente non posso rivelare.
Ma se tutte le piste intraprese e “in corso” non portassero a nulla? L’arresto di Matteo Messina Denaro sarebbe inutile?
Assolutamente no, neppure se ci fermassimo qui. la sua cattura è sicuramente importante per tutti noi, per le forze di polizia, per coloro che hanno lavorato alla sua cattura, perché rappresenta un successo. Abbiamo avuto per 30 anni un soggetto latitante, una ferita aperta per lo Stato; l’averlo catturato dimostra che lo Stato è più forte della mafia. E poi il suo arresto segna una svolta dentro Cosa nostra, perché è l’arresto dell’ultimo capo universalmente riconosciuto come tale. L’averlo colpito è per tutto il popolo di Cosa nostra uno scossone, che conferma che non c’è più impunità dentro l’organizzazione.
La morte e il silenzio di Messina Denaro, però, non rischiano di vanificare le speranze di portare alla luce i punti da chiarire sugli anni delle stragi?
Non si dice addio a un bel niente, anche perché si continua a lavorare su questo anche più di prima. Certamente gli occhi sono puntati ora sull'organizzazione interna di Cosa nostra. Organizzazione che al momento è "quieta" perché probabilmente i suoi membri sono in attesa della morte di Messina Denaro. Allora si innesterà un meccanismo di successione all’interno dell’organizzazione, è possibile che nuove figure tentino di prendere il posto che aveva lui, e soprattutto si pone un problema relativo ai suoi beni. Perché in tanti, e l’intera organizzazione, ambiscono alle sue ricchezze. Senza dimenticare la possibilità di contrasti all’interno di Cosa nostra, e i conseguenti problemi di riposizionamento.
Proprio in questi giorni il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha annunciato una nuova stretta sulle intercettazioni. Si rema contro la lotta alla mafia?
Noi magistrati che ci occupiamo del fenomeno della criminalità organizzata in più di un’occasione abbiamo segnalato l’indispensabilità delle intercettazioni contro la mafia. Il Governo ci ha assicurato che questo tipo di intercettazioni non saranno toccate: se lo si facesse sarebbe un errore molto grave. Dopodiché è vero che la rivisitazione del sistema, in termini generali, comporta una limitazione delle possibilità di investigare anche su reati che sono vicini a quelli di mafia, come quelli della pubblica amministrazione.
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La copertina del libro di Maurizio De Lucia e Salvo Palazzolo