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Cronache
Depistaggio Borsellino: accuse prescritte per due poliziotti, assolto il terzo

Nel settembre del 2018, il gup Graziella Luparello, ha accolto la richiesta della procura e rinviato a giudizio il funzionario di polizia Mario Bo e gli ispettori in pensione Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, che nel '92, dopo le stragi di Capaci e via d'Amelio, fecero parte del pool investigativo "Falcone e Borsellino". All'epoca erano stretti collaboratori di Arnaldo La Barbera, capo della squadra mobile di Palermo, deceduto nel 2002. 

Uomini dello Stato chiamati a difendersi dall'accusa di calunnia aggravata dall'aver favorito Cosa nostra. Per il procuratore De Luca e il pm Stefano Luciani i tre poliziotti avrebbero contribuito a depistare le indagini su via D'Amelio. Con minacce e pressioni psicologiche, avrebbero indottrinato l'ex pentito Vincenzo Scarantino per dichiarare il falso e accusare persone estranee alla strage in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta.

Il "piu' grande depistaggio della storia giudiziaria italiana", come e' stato definito dai giudici della Corte d'Assise di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza del "Borsellino quater", secondo il pm Stefano Luciani, sarebbe partito dal carcere di Pianosa dove Scarantino, nel settembre '93, venne trasferito da Busto Arsizio. Ed e' a Pianosa che Scarantino avrebbe subito atti di "terrorismo... non solo mentale ma anche fisico" tali da convincerlo a diventare, come lui stesso ha detto, "il nuovo Buscetta" dando corpo ed enfasi alle sue menzogne su via D'Amelio. Per la procura di Caltanissetta, Scarantino e' un "collaboratore costruito a tavolino". Quindici giorni dopo l'arresto dell'ex picciotto della Guadagna, risalente al 29 settembre 1992, al procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra venne consegnata una nota del Sisde con a capo Bruno Contrada: "Il Sisde anziche' dire che Scarantino era un piccolo delinquente di borgata, lo defini' un boss mafioso".

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