Cronache

Falcone, Mattarella lo beatifica: ma nessuno segue le lezioni del magistrato

Di Pietro Mancini

“Le cronache dalla Sicilia ci raccontano che l'ultimo rifugio dei mascalzoni sia, ormai, diventata l'antimafia. Leonardo Sciascia ci era arrivato con 33 anni d'anticipo”.

È graffiante il giudizio di Alfio Caruso, catanese e autore di volumi importanti sulla mafia, tra cui  “Cose di Cosa Nostra”. Egli si riferisce ai recenti arresti, nell’ambito dell’inchiesta sulla spartizione della torta miliardaria della sanità, oliata con cospicue tangenti.

Miccichè, di Fi, che presiede l’Assemblea regionale, ha sollecitato il Presidente della commissione antimafia, Claudio Fava, a occuparsi dei recenti arresti, in primis del coordinatore per il Covid-19, in Sicilia, Candela. “Avvertii-ha spiegato l’esponente forzista- il Governatore, Musumeci, FDI, che Candela fosse faceva parte del giro di Montante, Lumia, PD, e Crocetta: lo sapevano tutti. Non mi diede ascolto”.

Antonello Montante, già paladino dell’Antimafia e ossequiato Presidente degli industriali, è stato stangato a 14 anni di carcere per avere ordito un vero e proprio sistema di spionaggio, con la complicità di alti funzionari delle forze dell'ordine. 

Sergio Mattarella, ricordando Falcone, la moglie e gli agenti di scorta, nel 28.simo anniversario della strage di Capaci, è sembrato ottimista, forse troppo, quando ha sostenuto che le vittime di Riina e c. avrebbero fatto “crescere, nella società, il senso del dovere e dell'impegno per contrastare la mafia e per far luce sulle sue tenebre”.

Coraggio, rigetto, indignazione, volontà di giustizia e di legalità, molto diffusi in Sicilia ? È un auspicio, contraddetto, purtroppo, dalla cronaca e dagli inquirenti, che hanno scoperto le mega-tangenti, destinate ai manager della sanità pubblica.

Quattro giorni prima della sua morte, Giovanni Falcone disse : “Non c’è tempo da perdere, bisogna mettere da parte le guerre tra il CSM, l’ANM, il Guardasigilli, i partiti. Cosa Nostra delinque, senza sosta, mentre noi litighiamo, senza sorte”. Osservazioni, drammaticamente, attuali. Come ha osservato Morosini, giudice nella città di Falcone, di Mattarella e di Bonafede, “le postazioni chiave della giustizia sono attraversate da asprezze e conflitti di ogni tipo”. Il Guardasigilli si è salvato, grazie ai voti di Renzi, dalle mozioni di sfiducia, in Senato. Ma la visione, che il ministro ha della sua materia, non è compatibile con i valori di Falcone e le linee di una politica rispettosa dei diritti.

Bonafede ritiene, come due aspri nemici di Falcone, Leoluca Orlando e padre Pintacuda, che il sospetto sia l’anticamera della verità, il comandamento giustizialista in auge nell’era di Tangentopoli. “Assolutamente no-ribatteva il giudice-il sospetto è l’anticamera del khomeinismo e della negazione delle garanzie, che spettano agli imputati”.

Ma, per salvare la poltrona, Bonafede ha sconfessato 10 anni di campagne grilline, basate non solo sui sospetti, ma persino sulle allusioni e le illazioni, che Falcone respingeva,  cercando, con scrupolo, i riscontri alle dichiarazioni dei “pentiti”. 

E, dunque, si assiste al paradosso della beatificazione, da parte del Capo dello Stato, del simbolo, defunto, della lotta ai boss, mentre resta inquilino del ministero della Giustizia un avvocato siciliano che, tempo fa, disse : “Se è sospettato, anche uno pulito deve dimettersi”. 

Il collega e amico di Borsellino, ucciso solo dopo 2 mesi dalle cosche, sosteneva che la magistratura non deve invadere, mai, il campo della politica. Secondo l’allora direttore generale degli Affari penali (incarico rifiutato da Di Matteo), il magistrato deve dimostrare un forte senso della realtà, dignità e autonomia dai centri di potere.

Falcone, certamente, sarebbe stato molto severo sui “giornalisti e magistrati compagni di merende”, come “Libero” ha presentato, ieri, le telefonate tra cronisti e toghe.

 Il giudice, trucidato a Capaci, cestinò le accuse di un “pentito” mendace, Giuseppe Pellegriti, contro l’andreottiano Salvo Lima, indicato come il mandante di alcuni delitti. E, forse, all’ex sostituto della Procura di Roma, Luca Palamara, calabrese, che ha riflettuto 3 giorni prima di scusarsi con Matteo Salvini (aveva detto, in una chat con alcuni colleghi : “Il ministro ha ragione sull'immigrazione, ma dobbiamo attaccarlo, perché gli italiani sono con lui”), Falcone avrebbe spiegato : ”Collega, hai sbagliato. Non tocca a noi formulare giudizi sui ministri, nè postulare biglietti per assistere alle partite di calcio. Dobbiamo dialogare, da pari a pari, con il governo e il Parlamento, ripensando il ruolo della magistratura”.