Cronache
Giulia Cecchettin non è morta di patriarcato, ma di paranoia
Giulia Cecchettin non è morta di patriarcato, ma di paranoia: quando il conformismo woke/cancel contribuisce al nonsense di una società già malata
Giulia Cecchettin non è morta di patriarcato, ecco perchè. Il commento
"Mi vergogno di essere uomo. Siamo tutti da rifare." Piero Pelù, cantante Eccolo là, figuriamoci se qualcuno non la sparava tanto grossa e grassa subito. E parimenti vien subito da dire: vergognati te, laddove ne avessi motivo, e rifatti te per le eventuali medesime motivazioni. Eppure negli anni venti del duemila continua la strage di donne, la strage di uomini che odiano le donne, per parafrasare il famoso romanzo di Stieg Larsson. In un mondo che tutto sommato se ne frega di migliaia di bambini massacrati sotto le bombe o ancora più colpevolmente per malattie e fame può sembrare una tragedia elitaria, anzi voluttuaria, forse. Ma si svolge nel cosiddetto primo mondo, quasi per capriccio.
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Banalmente, a seguire l'osceno femminicidio di Giulia Cecchettin per mano dell'ex fidanzato Filippo Turetta, con la vergognosa fuga verso nord e la fortuita quanto intevitabile sua cattura da parte della Polizia tedesca, ecco che si scatenano comprensibili dibattiti e scontri, ma anche taluni latrati.
Ovviamente passino le dichiarazioni, financo magari talvolta le più incongrue, dei familiari di Giulia, che ora e per sempre avranno diritto ad ogni comportamento dettato da una sacrosanta disperazione, anche decisamente piena di una consistente dignità. Che il padre di Giulia parli, con calma ammirevole, di prevenzione su questo genere di crimini è solo giusto. Forse che la sorella parli, seppure con la pesante afflizione del caso, di vari temi inserendo iperboli ed anche qualche luogo comune sgangherato, per altro tipico della sua generazione, non può in fondo generare eccessivo biasimo. Di fronte ad un simile trauma nessun sano di mente può lanciarsi in eccessivi ditini alzati.
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Cosa ben diversa è chi, da fuori, parli esclusivamente di "colpa comune" degli uomini, dei maschi, ad opera della cultura patriarcale, di machismo, di sessismo, di battute di spirito che da sardoniche diventano oscuramente nefaste, di spirito da spogliatoio, di cameratismo maschile, della caserma, del bar, fino allo spauracchio del catcalling, codesta frase fatta di nuovo conio, che ovviamente piuttosto poco c'entra con un maledetto efferato omicidio, seppur rientrante, con definizione classica che oggi si tende a deprecare poiché lievemente indulgente, nella fattispecie dell'omicidio passionale.
È evidente che un femminicidio ha anche alcune radici in malcostumi e trivialità, passate attraverso una degenerazione e una metamorfosi delirante; eppure pare sufficientemente delirante un piatto nesso di causa-effetto tra "catcalling" e omicidio. Oggi, pur sotto la spinta emotiva, i più deboli in facoltà analitiche minime posson esser spinti a fare connessioni ancor più assurde. Da dentro la tragedia si può; da fuori molto meno. Per non citare i soliti sciacalli tra taluni appartenenti alla casta dei politicanti, pronti ad ogni dichiarazione tra le più mentecatte.
Che il patriarcato possa generare aberrazioni, fin qui non ci son dubbi. Come altre aberrazioni causano certe caserme, certi branchi di giovani uomini lasciati a sé stessi da una società che dà di sé esempi pessimi a partire dai suoi vertici e dalle sue inette e latroniche classi pseudo-dirigenti. Certamente pesano decine di fattori che per carità è anche giusto e soprattutto legittimo evocare, anche un po' scompostamente. E si ripeta: nessun può negare che un certo "machismo tossico" (si usi qui volutamente un vocabolo agevolmente abusato dal wokismo più becero) abbia la sua parte: è cosa di per sé visibile.
Ma da qui a dire che Giulia è stata ammazzata perché qualche cafone fischia dietro ad una silhouette o addirittura per "omicidio di Stato" ce ne passa davvero un po' troppino.
Un rapporto forse anche in origine ossessivo o diventato presto malsano, un inganno, una trappola e un sostanziale rapimento, le percosse e le coltellate. A causa financo esclusiva del patriarcato? E non specificatamente per lo squilibrio mentale di una personalità fragile e con recondite pulsioni omicidiarie? Ecco, questo davvero no, grazie. Il patriarcato di fondo permea la società umana ab origine, seppure in parziale superamento (almeno nelle epifanie più disgustose), mentre omicidi e femminicidi sono e restano nel 99 percento dei casi una aberrazione prodotta da personalità potenzialmente o concretamente criminali.
Il patriarcato si chiama patriarcato perché basa la sua dottrina e la sua pratica appunto sulla figura del pater familias, che, si pensi, non è una figura di persecutore, ma viceversa, almeno nel suo archetipo, una figura di protettore. Un protettore che può diventare abusivo ed abusatore anche come padre certamente (o come il vocabolo italiano suggerisce, perfino sfuttatore di donne), ma che non lo è ab ovo.
Il patriarcato, nei suoi elementi fondanti, ha generato il modello-base della nostra società, che per quanto disfunzionale, decadente e forse persino arrivata alla soglia di un orrendo capolinea, purtuttavia non è incentrato sull'assassinio, né in generale, né di fidanzate o figlie o madri. Il patriarcato c'entra, ma non è la miccia della degenerazione omicida e femminicida, e chi lo pensa e lo dice semplicemente dà un calcio a una palla, in tutti i sensi. La miccia resta ben più profonda ed oscura.
Troppo facile vedere patriarchi e sessismo dappertutto. Altrimenti è veloce la metamorfosi nel catrame della società americana: la demenza dilagata di perdita di ogni senso logico, dove se fai una battuta salace diventi prodromico alla strage di donne o di neri protoafricani. Magari pure in attesa di non poter fare battute sui calamari da friggere per non urtare gli animalisti. Diremmo che il punto sta, oltre la emotività da fatto di cronaca cruento, nel non perdere la brocca così tanto a buon mercato.
Semmai ha veramente senso comprendere che gli omicidi passionali, persino quando in misura minoritaria siano commessi da donne (e senza in nessun modo sminuire la vera emergenza del fenomeno femminicidi) sono fondamentalmente il riflesso della incapacità umana di gestire le pulsioni affettive, che per loro stessa natura sono rare ed episodiche, e che quindi, soprattutto in età giovanile, si è da sempre e sempre meno attrezzati ad elaborare. Le separazioni diventano così dei cataclismi che mandano in tilt non solo le personalità deboli o persino delinquenzialmente borderline, ma anche chi non abbia apparenti o consustanziali disturbi della personalità o scompensi e persino patologie di qualsivoglia spettro, tangenziali o abituali.
Ed è questo il grande rimosso doppio della società soprattutto italiana: in primis la psicanalisi, soprattutto preventiva; questa idea rozza ed antidiluviana che il mondo si divida in sani e in matti, e che alla psicanalisi si ricorra solo dopo gli eventi drammatici, e in secundis la rarefazione ulteriore della volontà di voler bene al prossimo, concetto del tutto superato in un sistema capitalista e liberista che indottrina i sudditi alla prelazione del consumo, ovvero al polo opposto del concetto di volontà e soprattutto di capacità di amare gli altri, non solo un numero progressivo o ristretto di propri simili, ma soprattutto una persona tra tutte. Giulia non è in realtà morta di patriarcato né di machismo tossico, o meglio non precipuamente di ciò: è stata uccisa perché Filippo, nevroticamente e paranoicamente, ha amato talmente sé stesso ed il proprio disagio da farne una apoteosi nel momento in cui la ha colpita per punirla di averlo lasciato.
Giulia è stata uccisa per una sorta di raptus delinquenziale (sì, alcune fole della attuale psicanalisi negano in estrema sintesi addirittura la esistenza di tale fattispecie, come se un crollo mentale generato da uno sconvolgimento rabbioso non sia definibile con tale tipica traduzione), oltretutto quasi certamente preordinato e comunque premeditato dall'omicida (nei suoi elementi cardinali, se non per forza nell'epilogo), ma le leve che hanno condotto Filippo Turetta ad accoltellare la sua ex Giulia Cecchettin e a buttare il suo corpo giù da un dirupo erano palesemente presenti da tempo.
Giulia Cecchettin, sciocchezze wokiste a parte, è morta per egoismo degenerativo. E il primo responsabile non è tanto il maschio, quanto ciò che tutti noi, maschi e femmine, abbiamo costruito e tollerato: lo strapotere della robbba dei Malavoglia, del possesso, sulla capacità di voler bene. E non sarà il woke/cancel con le sue pruderie (conculcate proprio dal liberismo tra l'altro) a salvarci, anzi.