Cronache
Impagnatiello eterno narciso: in aula mostra ancora la sua natura
L'ex barman di Armani Cafè fallisce nella strategia difensiva dello stato di "annebbiamento", e rivela ancora una volta la sua vera natura
Delitto Giulia Tramontano/ Impagnatiello eterno narciso: "Giulia non mi avrebbe mai lasciato". Analisi
“Sono una persona più lucida e consapevole di allora. Questa processo mi ha molto cambiato". Così ha esordito Alessandro Impagnatiello, l’ex barman di Armani accusato di aver ucciso con 37 coltellate la fidanzata incinta Giulia Tramontano. Nell’aula gremita della Corte d’assise del Tribunale di Milano, dove Affaritaliani.it era presente per il suo interrogatorio, la versione del 30enne è volta a imprimere sin da subito nelle menti dei giudici e dei presenti una atteggiamento remissivo, quasi di pentimento. E sarebbe, forse, stato possibile dare seguito a quelle parole, avallarle, se nel racconto incalzato dai due pubblici ministeri, Impagnatiello avesse per davvero mostrato un cambiamento; se per davvero avesse svestito i panni dello showman pettinato e narcisista dando spazio all’unica protagonista di questo femminicidio, Giulia.
LEGGI ANCHE: Impagnatiello confessa: "Sì, ho ucciso Giulia e tentai di dare fuoco al corpo"
E invece, ancora una volta, l’ex barman ha dato prova di non pensare a nient’altro che a se stesso, incentrando tutta la narrazione su quello che lui stava perdendo, sul trauma che lui stava vivendo, su quello che Giulia e l’altra donna stavano gli stavano portando via. Non è bastata la barba (ricresciuta dall’ultima udienza), la postura curva, la voce a tratti interrotta, insomma, per provare il suo ravvedimento: l’Io di Alessandro Impagnatiello si è prepotentemente e nuovamente imposto in tutta la ricostruzione degli anni di relazione con Giulia finanche alla scoperta della gravidanza della 29enne. “Io sul posto di lavoro ero molto stimato, io potevo crescere, la mia professione mi appagava. Ecco perchè quando Giulia si lamentava e quando ha scoperto di essere incinta mi sono preoccupato”.
Ancora oggi, ad un anno esatto dall’omicidio della fidanzata, Impagnatiello ha parlato della volontà della Tramontano e dell’altra donna di “umiliarlo” davanti ai colleghi. Un’umiliazione intollerabile, che l’avrebbe spinto, da ultimo, a commettere l’omicidio. Ha utilizzato termini come “trauma”, “distruzione” della sua immagine, di “spaccatura”: un linguaggio iperbolico ma estremante sincero, nella sua dimensione narcisista. Lo prova la totale assenza di tentativi da parte sua, per tutta la durata dell’udienza, di cercare lo sguardo dei familiari di Giulia, presenti in aula, distinti e chiusi nella loro sofferenza ma estremamente attenti alle parole dell’imputato. Solo Chiara, la sorella della 29enne, durante la sua deposizione ha lasciato l’aula; mamma Loredana e Mario, il fratello, hanno invece ascoltato per l’ennesima volta il “delirio” di Impagnatiello, che ammette le ricerche sul topicida esclusivamente per “colpire il bambino, in uno stato di totale annebbiamento” e fatte durante momenti di “noia” precedenti al delitto.
Non hanno ascoltato, i familiari, un ravvedimento di colui che ha strappato alla vita Giulia e Thiago: hanno invece ricevuto un altro colpo al cuore, quando l’ex barman ha dichiarato che era sicuro che “io e Giulia non ci saremmo lasciati, Giulia non sarebbe tornata dalla sua famiglia a Napoli. Lo diceva solo per mettermi paura”. Sta tutto qui, in quest’ultima dichiarazione, la “vera realtà”, come l’ha definita lo stesso imputato all’inizio della deposizione: dopo 12 mesi dalla tragedia Impagnatiello rimane convinto che nulla avrebbe potuto sfuggire al suo controllo. Ecco perchè la tesi dell’"annebbiamento”, della “confusione e sconnessione della realtà”, la vaghezza nella risposta ad alcune domande parrebbero più una strategia difensiva, l’ultima spiaggia (appurata la capacità di intendere e di volere) per evitare la condanna all’ergastolo. Una strategia sabotata dallo stesso Alessandro Impagnatiello, che non ha resistito al protagonismo rivelando la sua vera natura.