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Cronache
Inginocchiarsi per George Floyd e non per Luana D'Orazio: sudditanza culturale
lapresse

Decisamente ci chiediamo, suggerendo a freddo e in anticipo il 1982 anno di morte di Giuseppe Prezzolini, quando gli storici intenderanno fissare una data rappresentativa seppur artificiosa per il sostanziale decesso dell'ambiente culturale italiano, inteso ovviamente come complesso funzionale di individui che avessero un ruolo proattivo e proficuo per la società. Sì, specifichiamo, anche proficuo, poiché ad essere meramente proattivi basta gagliardamente molto meno. Si pensi alla mesta fotografia del milieu attuale sotto l'ombrellone della estate italiana 2021. 

Il trittico di riferimento della proattività intellettuale da chi verrebbe incarnato se non dai nomi più noti, dopo quelli dei perfidissimi virologi sempre in competizione tra loro per lo scranno di Licurgo del momento abbinato ad una sventagliata di messianiche ospitate in video e cassandresche spalle di giornale? Saviano, Murgia, ancora e sempre il buon vecchio Fabio Volo? Certamente Saviano resta un fenomeno ai massimi gradi di peculiarità, né potrebbe nessun notista dotato di minimo buon senso togliergli i meriti, oltre che una fortuna/sfortuna sfacciata, d'essersi suo malgrado tramutato in un simbolo anti-mafia. 

La signora Murgia può suscitare consensi o dissensi, ma certamente sarebbe strambo negarle un talento straordinario nel centrare il bersaglino con le sue freccette, magari a prescindere dalla notorietà dei suoi libri, forse claudicante. Il caro vecchio signor (in arte) Volo chi mai avrebbe cuore di deprecarlo, dal panificio di Brescia alla fama e ricchezza a cagione d'esser un gran simpatico: suvvia, quei libercoli lì, che male avran mai fatto a chicchessìa? No, alla letteratura no davvero; di bischerate peggiori eran già pieni gli scaffali e sempre lo saranno in saecula saeculorum, amen. 

Certo, si dirà, il Novecento è proprio finito nell'ottantadue, quando un Prezzolini ormai centenario si vede regalare dal presidente Pertini una stilografica d'oro e a Montanelli dice: "se vo in bolletta me la vendo". Per sua fortuna il Prezzolini morirà quello stesso anno, perdendosi forse gli assetati anni Ottanta ma almeno risparmiandosi di vedere i tragicomici novanta, per tacer del peggio successivo, ché lo core non gli avrebbe retto comunque oltre, nemmeno a lui, ex ufficiale degli Arditi sul Piave. 

Ma, cappelli introduttivi a parte, perché poi Prezzolini ci entra con i calciatori che si inginocchiano o meno alle partite di football con George Floyd, addirittura col terribile incidente che uccise Luana D'Orazio, la giovane operaia e ragazza-madre di Prato vittima di un macchinario probabilmente sabotato per aumentarne il ritmo produttivo? Che ci entra la Lacerba, rivista futurista, Malaparte e la sua riottosa rivista letteraria a cavallo tra regime fascista e dopoguerra antifascista? E il New Yorker, mito glamour della letteratura e della intellighenzia yankee? Eh, purtroppo ci tocca sancire che il gorgo di tutte queste passate e presenti vicende rotea in un imbuto che finisce fatalmente in gola a tutti noi, in questo finale tardivo di millennio e altrettanto tardivo inizio di una era inconosciuta e per ora di molto peggiore della precedente. 

Il punto sta tutto nel concetto di PRIORITÀ: perché i calciatori della nazionale italiana dovrebbero inginocchiarsi per il pur tragico caso di George Floyd (e successivi riflessi) e sul tema del razzismo, tema centrale sicuramente a livello mondiale, ma che in Italia per fortuna è non certo una emergenza nazionale, mentre povertà, disoccupazione, tragedie sul lavoro dovute a sfruttamento e disperazione sono ormai un incubo quotidiano? 

Certamente il razzismo è una piaga che riguarda tutti ovunque, ma anche negli USA, dove le morti direttamente collegate al razzismo sono frequenti, il razzismo fa forse più morti di povertà, emarginazione, malnutrizione, carenza di cure mediche? Quando Colin Kaepernick, quarterback dei San Francisco 49rs, nel 2016 si inginocchiò, o meglio non si alzò in piedi durante l'inno nazionale degli Stati Uniti, il suo gesto (che gli costò anche parecchio) fu un atto di coraggio e di rivolta non solo contro la brutalità della Polizia contro le minoranze di colore, ma contro una intera politica americana di appoggio ai partiti di estrema destra e quindi anche ai suprematisti bianchi, spesso persino legati al Ku Klux Klan. 

Quindi non si stava parlando di sciocchezze o di gesti alla moda, ma di prese di posizione storiche, importanti, cardinali per tutti, non solo per gli americani. Eppure cinque anni dopo, uscito di scena Donald Trump, anche se qualcosa in USA è cambiato naturalmente il problema non è affatto risolto. 

Ma da noi in Europa e in Italia il tema preminente del razzismo è davvero prioritario rispetto alla morte di una giovane lavoratrice che per mantenere sé stessa e il figliolo è stata costretta ad accettare condizioni di impiego da terzo mondo, che la hanno poi ammazzata?

Quindi c'è qualcosa che non funziona nel gesto di inginocchiarsi per i giocatori dei campionati europei di calcio: un vulnus culturale con edificanti intenti, seppur spruzzato di conformismi modaioli. La ferita culturalmente mortale non è il battersi, simbolicamente o meno e a ottimo titolo, contro tutti i razzismi in USA o in Europa: la ferita mortale è importare acriticamente gli stilemi americani come pura FALSE FLAG per non parlare dei problemi persino più gravi che stanno facendo a pezzi l'Europa, e non solo l'Italia, e anche gli USA in realtà. Altro che importare modelli nordamericani: il continente che sarebbe pure il più ricco del mondo precipita sempre di più verso un modello sudamericano di precarietà e proletarizzazione, perseguendo una lotta tra poveri, tramite il vecchio trucco della rana in acqua calda o del veleno mitridatico a dosi sempre più massicce e sfrontate. 

Poveri a milionate, ormai sempre più autoctoni a cui si aggiungono ondate di immigrati in una lotta a bordo piscina che deve restare sottaciuta e sempre più sovrastata da altro, mentre si sventolano altrettanto sacrosante bandierine arcobaleno per non discriminare (e sempre giustamente) i gay e le altre minoranze sensibili.

E va bene, le riviste letterarie in Italia manco esistono più. I circoli culturali, come dicevamo "proficui" sono memoria d'altri tempi. Nemmeno le trasmissioni radiotelevisive culturali, almeno le poche che non facciano cadere stecchiti dal sonno, hanno più un minimo impatto sulla società. Neppure i salotti, quelli che tanto si criticava un tempo neppur lontano, i party milanesi di Antonioni, le terrazze romane di Scola, poco o nulla rimasto, bye bye, adieu, kaputt. 

Prezzolini che fondava riviste col suo amico Papini a Firenze era storia di certo antica, ma (nonostante le ascendenze senesi) non era un provinciale: viveva a Parigi come a New York e si era pure guadagnato un passaporto a stelle e strisce. Anche di lui non si faccia una icona santa come o più di Montanelli, magari senza le giovinette abissine prese in moglie. 

Ma per citare un di lui scritto sarebbe tanto più utile che "L'italiano inutile" si rendesse conto, finalmente, che ricordarsi il nome di George Floyd e non quello di Luana D'Orazio è roba da far incazzare non solo Prezzolini retroattivamente, ma tutti noi, proprio adesso.

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