Cronache
La Grande Storia di Mieli sul cibo? L'arte di manipolare il quotidiano su Rai3
Da Farinetti a Petrini, dalle omissioni sulle Coop a Togliatti salvatore. Ecco “La Grande Storia” di Paolo Mieli dedicata al cibo e alla società dei supermarket
Tre documentari dove si può apprezzare la leggiadria dell'arte manipolatoria e le suggestioni di un commediografo più che di uno storico.
I grandi supermercati nascono in Italia solo nel 1957, perché nel Belpaese le lungaggini burocratiche e la politica limitano le nostre capacità, spiega “La Grande Storia” (con la g e la s maiuscola). E' la società del dopoguerra, quella amministrata dalla Democrazia Cristiana. Quando nel documentario si parlerà di corruzione e cibo la Dc sarà sempre in prima fila.
Nei supermercati il cibo costa meno, c'è più scelta e solo i più poveri vanno al mercato rionale. Nati nella cultura americana già negli anni '30 vengono, in una lunga e complessa carrelata, contrapposti al cibo più genuino. Come a dire: l'Italia popolare non si è totalmente allineata alla cultura consumistica made in Usa.
In Italia il primo che riesce nel faticoso esperimento è Bernardo Caprotti a Milano con i suoi supermercati Esselunga, spiega il documentario, raccontando l'evoluzione del sistema e la centralità di Caprotti. Ma chi viene intervistato per parlarne? Il guru rosso di Eataly Oscar Farinetti, il principale alleato delle sue acerrime nemiche, le Coop. Forse dalla redazione de “La Grande Storia” (con g ed s maiuscola) non avranno trovato il tempo per parlare con qualcuno di Esselunga. O è solo una licenza poetica.
Col tempo le Coop, le aziende partner nel business di Farinetti, sono diventate, grazie alle pubbliche amministrazioni italiane, il primo player della grande distribuzione (Gdo). La costruzione dei supermercati in Italia passa dalla pubblica amministrazione che concede o meno le autorizzazioni. E Caprotti, come tanti altri imprenditori non allineati, aspettavano decenni prima di averne una. Ma di tutto questo il documentario non parla.
Caprotti definiva poi Farinetti “un chiacchierone... riesce a ottenere tutto gratis. A Torino il sindaco Chiamparino gli ha dato la sede della Campari, gratis e per sessant’anni; a Verona entra in una struttura splendida, con la ristrutturazione a spese della Cassa di Risparmio della città. Lui deve solo piazzare i suoi quattro scaffali. Un grande…”. Quando il patron di Esselunga provò a partecipare all'Expo di Milano venne accolto non proprio benissimo e commentò: “Anche lì è entrata la Coop con Oscar Farinetti, e siamo stati rifiutati...”. Ma neanche di questo il documentario parla. Poi una lunga sequenza di storie sugli usi e constumi degli italiani, ma dove mancano la grande strategia di Palmiro Togliatti, prendersi l'Italia con le Coop, e l'ascesa di queste ultime fino a diventare il primo player della Gdo.
Nel documentario mancano anche le battaglie per non fare aprire la Standa a Silvio Berlusconi o l'uscita dalla Gdo di Leonardo Del Vecchio di Luxottica che ha commentato il settore così: “Succedeva che per due, tre anni trattavamo con un Comune... concedevamo tutto quello che chiedevano: costruzione di scuole, verde pubblico, servizi sociali. Tutto a posto, eppure alla fine la licenza ci veniva negata. E in seguito il terreno se lo prendevano le Coop. Noi non abbiamo mai voluto scendere sul terreno dei rapporti con la politica. Ma non si può rimanere immacolati nuotando in uno stagno torbido. Allora bisogna lasciare”.
Ma a un certo punto del documentario il cibo entra a pieno titolo sulla scena politica. Il capo del partito comunista Palmiro Togliatti dopo aver dato dei cretini agli americani si riconcilia con loro. La voce narrante racconta che l'attore Orson Welles andò a cena con Togliatti e tutta Italia ne parlò. Un momento alto, colto, fatale, ineluttabile.
Ma nel documentario non ci sono solo vette. C'è anche il basso delle clientele, ma senza usare toni esasperati. Quando Filippo Ceccarelli de La Repubblica spiega la “tavola democristiana” e le svolte parlamentari, decise a cena, quando i sovrani della Dc tessevano strategie fino all'inciucio da “Gigetto Er Pescatore”, locale di Roma. Quei corrotti e clientelari della Dc.
Ma dal basso il documentario ritorna all'alto, alla purezza cristallina della sfoglina che racconta come stende la pasta alla Festa dell'Unità, dove il cibo è “il popolo che si siede a tavola”, “di chi a tavola ravviva gioiosamente la fede politica”, dove c'è “festa di popolo”, “fatta di sacrifici”, “di dirigenti che dividevano la tavola con i militanti”.
Che poesia! Che purezza!
A me tanti militanti hanno raccontato come in quegli anni gli imprenditori riversassero nelle casse delle donazioni delle feste dell'Unità le montagne di “nero” che facevano. In cambio il partito ti garantiva permessi di ogni genere. Ma io non ci ho mai creduto, figurati se è vero! E il documentario non parla di queste o altre illazioni! Lì c'è il popolo.
Lo sforzo di rinabbissarsi nelle clientele il documentario lo affronta con i politici, democristiani e socialisti che, spiega la voce narrante, “sfruttano il cibo per prendere voti”.
Claudio Sabelli Fioretti: “Quando pensavi ai socialisti pensavi al caviale”. Ah ecco! E di nuovo Ceccarelli che racconta come la tavola socialista fosse una sorta di rito ad uso e consumo del capo supremo, seduto su una specie di trono all'Hotel Rafael: “Craxi faceva la scarpetta nel piatto degli altri (degli ospiti che invitava, ndr)”.
Infine con la stagione di Berlusconi in campo nasce la “Gastrocrazia”, un “modello” e il luogo del cibo diventa luogo del potere di spartizione, condito da Silvio che canta con Mariano Apicella, antipasto delle famose “cene eleganti” da Bunga bunga.
A contorno non poteva mancare Carlin Petrini di Slow Food, pigmalione di Oscar Farinetti, che con in bella mostra un libro sulla capitale morale della sinistra, “Bologna e il cibo”, discetta sulla bontà della sua visione e contro il consumismo di massa. Infine un bel capitolo dedicato al cibo nei programmi tv, dal titolo rivisitazione di uno slogan comunista: “Cucinare sempre, cucinare tutti”.
Questa è “La Grande Storia” (con la g e la s maiuscola) .
Per fortuna la tv non la guarda più nessuno. Altrimenti qualcuno si sarebbe accorto del posizionamento errato in palinsteso, di una "commedia" nella sezione "storia".
Ma forse quelli che ancora ci buttano un occhio si chiederanno se è il caso di utizzare i soldi pubblici per pagare queste primizie.
Chissa poi se c'è un parlamentare a Berlino, parafrasando Bertolt Brecht, tra i 945 italiani, che voglia chiedere spiegazioni ai vertici Rai. Così, tanto per sapere.
Oppure se ogni sera, con i nostri soldi del canone, bisogna farsi fare la morale e prendere in giro facendo finta di niente.