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Cronache
La crisi delle discoteche: gli italiani ora ballano nei bar
La discoteca Kalua di Orzinuovi (Brescia), vuota e abbandonata

La crisi delle discoteche: gli italiani ora ballano nei bar

Ma va' a capire perché si vive se non si balla”, canta Dargen D’Amico in una delle sue più martellanti hit. Lo stesso dubbio esistenziale attanaglia anche i gestori delle discoteche del nostro Paese, sempre più in difficoltà. In 14 anni oltre duemila hanno dovuto interrompere l’attività. A Milano, negli ultimi 3 anni, un locale notturno su tre ha chiuso i battenti. Dalle stelle alle macerie. La scure del Covid è stata fatale per molti degli imperi dell’intrattenimento degli anni ‘80 e ‘90, oggi abbandonati. Il settore infatti stenta ancora a riprendersi, ostacolato anche dall’aumento dei costi e dall’inflazione.

Ma a pesare di più sui conti in rosso delle discoteche è un altro fenomeno, che dimostra come per gli italiani la festa non sia finita. Non è vero infatti che l’Italia è bella ma non balla. Semplicemente dice addio alle discoteche per danzare altrove. Optando per alternative più economiche, come bar e ristoranti danzanti, “realtà ibride che offrono lo stesso tipo di intrattenimento di una discoteca a scapito, però, della sicurezza, non dovendo sottostare per legge alle sue regolamentazioni”. È quanto afferma Roberto Cominardi, l’ex gestore dell’Old Fashion, una delle discoteche più conosciute di Milano recentemente chiusa. Per Cominardi, se non si alleggeriranno le pressioni fiscali e burocratiche, equiparandole a quelle degli altri locali, le discoteche italiane scompariranno. L’intervista

 

In 14 anni oltre duemila discoteche, tra cui il suo Old Fashion, sono state costrette a chiudere. Perché l’Italia non va più in discoteca?

Ci sono varie motivazioni che portano alla chiusura delle discoteche. Ad esempio quella dell’Old Fashion, che mi riguarda personalmente, non è assolutamente collegata a una crisi di settore ma è dovuta alla fine di un contratto d’affitto con la Triennale. Il tracollo del divertimento notturno ha toccato soglie altissime in questi ultimi anni principalmente per un problema molto semplice: si può ballare ovunque. E infatti quella a cui stiamo assistendo non è la crisi del ballo, ma delle discoteche. Non tanto perchè queste ultime siano strutture anacronistiche, ma perchè fondamentalmente non c’è interesse da parte delle autorità a definire con precisione i ruoli e i luoghi in cui si possa o meno fare intrattenimento. Questa è la chiave di volta di tutto. Se si pretende che un locale di pubblico spettacolo, ovvero una cosiddetta discoteca, abbia tutti i restringenti requisiti per la sicurezza, cosa che appoggio assolutamente, allo stesso modo non si può essere talmente permissivisti da tollerare un abusivismo così dirompente come quello dei locali serali, bar e spiagge travestiti a discoteca.

 

È l’abusivismo, dunque, la principale causa della crisi delle discoteche?

Certo. Il bar che offre anche intrattenimento costa decisamente meno di una discoteca, sia per gli esercenti che per i clienti. Basti pensare che un gestore di un bar paga in media 400 euro al metro quadro per il suo locale, mentre quello di una discoteca deve sborsarne più di 1600. Inoltre, le discoteche devono attenersi a rigidi regolamenti di sicurezza che limitano anche la scelta dell’arredamento. Le mobilie devono essere rigorosamente ignifughe e per averne di esteticamente si devono far costruire appositamente. Il che comporta un aumento esponenziale dei costi rispetto a un bar che si improvvisa discoteca e che non è soggetto alle stesse tipologie di restrizioni, potendosi quindi permettere orpelli migliori a prezzi inferiori. Per quanto riguarda gli utenti, invece, è normale che, a parità di offerta, preferiranno l’opzione più economica. Sono sicuro che se la spesa fosse uguale, le persone che ad oggi si riversano in queste realtà tornerebbero nelle discoteche.

 

Anche la pandemia ha contribuito ad aggravare il tracollo del settore?

Ovviamente sì. Il Covid ha distrutto la capacità di tutte quelle imprese che non avevano previsto un accantonamento del genere. Ma questo rientra nella storia di tutto il comparto commerciale afflitto dalla crisi pandemica. Chi non aveva messo da parte un po’ di fieno per tempi magri non è sopravvissuto. Per quanto riguarda il settore dell’intrattenimento notturno, però, ciò che pesa di più è l’abusivismo di quei locali che si improvvisano discoteche, senza essere strutture a norma. Non c’è infatti un pub, bar o ristorante danzante che abbia, ad esempio, le necessarie uscite di sicurezza che vengono richieste obbligatoriamente in una discoteca. Un vero pericolo per gli utenti.

 

Ma vista la mancanza di norme sicurezza, perché il fenomeno non viene arginato, secondo lei?

Da anni l’associazione di cui faccio parte continua a fare esposti su esposti a tutti i Comuni d’Italia, perché di competenze comunali appunto si tratta. Qualcuno va a segno, molti invece funzionano solo temporaneamente o vengono dimenticati. Le autorità dovrebbero implementare i controlli, ma ciò rappresenta un costo non da poco. Considerando che solo la città di Milano ha più di 10mila locali. Il contrasto all’abusivismo è solo una percezione, non è la realtà. Se infatti tutti i bar e ristoranti danzanti avessero gli stessi vincoli, sono certo che le discoteche tornerebbero in auge come un tempo.

 

Come si è arrivati a questa situazione?

Innanzitutto con una sorta di liberalizzazione. Un tempo i pubblici esercizi erano contingentati: si poteva dare un numero di licenze in funzione della distribuzione urbana. La legge Bersani, in nome di una spinta innovatrice e europeista, decise che questo contingentamento non era più all’altezza del mercato. Propose così una “deregulation”, che ha permesso di aprire locali presentando semplicemente la Scia. Niente di più giusto per implementare il mercato. Finchè l’offerta non è esplosa, implementata con permessi di live music per rendere gli esercizi più attraenti e competitivi. Così si arriva all’attuale boom di bar e ristoranti travestiti a discoteca. E di fatto non c’è nulla di irregolare, dato che sono fiscalmente in regola, ad eccezione dell’etica degli esercenti. Ma chi si priverebbe di clientela e guadagni per rispettare norme non specificatamente previste, quando tutte le altre realtà affini non le contemplano?

 

Cosa dovrebbe fare l’Italia per contrastare l’abusivismo?

In Italia, il problema è che il baracchino fa il bar, il bar si improvvisa discoteca, le discoteche diventano night club e questo fa il luogo prostituzione. Se in Italia tutti tornassero a far il mestiere per cui hanno richiesto la licenza la situazione rientrerebbe. Si deve prendere in mano la situazione e decidere di essere pratici, equiparando le regolamentazioni per tutti, senza distinzioni tra discoteche e bar/ristoranti con musica. Personalmente ritengo che le istituzioni dovrebbero stanziare fondi, come ha fatto il governo tedesco per risolvere la crisi delle discoteche berlinesi agli inizi degli anni Duemila. La Germania ha capito l’importanza del coinvolgimento, della tutela e del sostentamento del settore. Esattamente il contrario di ciò che avviene in Italia, dove politici - e non solo - demonizzano le discoteche come il luogo del peccato, continuando a scaricare su di esse tutto il fardello del disagio giovanile. Si tratta di una discriminazione culturale tutta italiana. A partire dalla crociata di fine anni Novanta con l’allora ministro Giovanardi, che parlò delle stragi del sabato sera. Fino al Covid. Ma eliminando le discoteche, non si estirpa il problema alla radice. Il Covid stesso ne è stata la dimostrazione: la delinquenza si è riversata tutta nelle strade. E durante la pandemia infatti tutti si sono rivolti a noi pregando che riaprissimo.

 

Qual è, dunque, il futuro delle discoteche italiane secondo lei?

Serve sicuramente una visione meno ostica nei confronti del settore. Anche le discoteche devono poter disporre di costi calmierati equiparati a quelli delle realtà abusive. Non intendo dire che si debba optare per una totale deregolamentazione, ma per un alleggerimento delle tante vessazioni fiscali e burocratiche imposte alle discoteche. Bisogna renderle più fruibili e accessibili sia agli imprenditori, sia agli utenti. Altrimenti le discoteche finiranno e si trasformeranno in questi ibridi. Ma una cosa è l’ibridazione a livello di servizio offerto, un’altra è quella sulla sicurezza. Questo punto deve essere assolutamente attenzionato dal governo e dalle autorità.

 

L’Old Fashion riaprirà?

Stiamo valutando quando, dove e se ci sono le condizioni adatte. Se le troveremo sicuramente riaprirà. Probabilmente anche il mio futuro locale sarà un ibrido. Ad oggi, con le attuali norme, creare una discoteca non conviene.

 

 


 

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