Cronache
Mafia, chi è Laura Bonafede: la zarina di cosa nostra che proteggeva la latitanza di Messina Denaro
Fredda, calcolatrice: così la maestra è entrata nelle grazie dei padrini siciliani
Mafia, ecco chi è Laura Bonafede, la maestra condannata per mafia dopo che ha protetto la latitanza di Matteo Messina Denaro
Laura Bonafede è una donna di mafia. A sancirlo la sentenza emessa dal gup di Palermo oggi che l'ha condannata a 11 anni. Una zarina di cosa nostra che si nascondeva dietro una vita tranquilla, tra le lezioni a scuola e persino qualche ripetizione pomeridiana. Una donna di Sicilia che però nascondeva una seconda vita: quella di aver protetto e sostenuto la latitanza del capo dei capi Matteo Messina Denaro.
Fredda, calcolatrice, capace di esser entrata nelle grazie dei boss più importanti. Figlia di un padrino storico di mafia ma Bonafede ha condotto parte della sua vita - secondo il rapporto dei Ros e della Procura di Palermo - al servizio di cosa nostra. A testimoniarlo le sue parole davanti ai giudici che hanno portato alla luce la sua verità.
"Io sono nata in una famiglia purtroppo mafiosa e ho vissuto fin da bambina con questo clima" e "mio padre (il boss Leonardo Bonafede ndr) parlava anche a casa dei suoi impegni" quindi "sono cresciuta cosi, abbiamo frequentato anche persone dello stesso ambiente", ma "noi figli, e nemmeno mia madre, abbiamo mai fatto parte di questa vita nonostante la vivessimo" e "non abbiamo mai parte di nessuna associazione mafiosa, anche perché le donne, bambine e adulte, erano tenute un pochettino lontane da certe situazioni e da certi contesti". Lo ha detto nel corso di lunghe dichiarazioni spontanee davanti al gup Laura Bonafede, la maestra di Campobello di Mazara, sentimentalmente legata a Matteo Messina Denaro, oggi condannata per associazione mafiosa a 11 anni e quattro mesi.
L'imputata ha anche raccontato di aver conosciuto Messina Denaro da bambina tramite il padre e di averlo avuto vicino nei momenti difficili della sua vita come dopo l'arresto del padre e del marito. Lei e il boss, ha ricostruita Bonafede, si sarebbero incontrati negli anni costantemente, ma non avrebbero mai vissuto insieme. "Nel gennaio del 2008, mentre io mi trovavo nella cartoleria Giorgi a Campobello - ha affermato - ho incontrato, per meglio dire Matteo Messina Denaro si è fatto riconoscere: io stavo salendo sulla mia auto e lui era sulla sua, mi ha fatto cenno di seguirlo e io l'ho fatto: l' ho seguito, poi siamo andati in un posto che era una strada un poco più isolata quindi mi ha fatto cenno di scendere e sono salita sulla mia macchina, a quel punto li ci siamo.... abbiamo parlato, era tanto tempo che non ci vedevamo, mi ha raccontato di sua figlia, insomma che aveva avuto una bambina, tante cose di famiglia, ci siamo dati appuntamento per febbraio".
"Lì sempre stessa modalità, ci siamo dati un orario - ha aggiunto l'imputata - poi ho lasciato la mia auto e sono salita sulla sua, non in maniera, come dire, all'aperto, perché ho adottato dei sistemi..., per tutelarmi un pochettino da quelle che erano tutte le mie conoscenze, perché Campobello essendo un paese piccolo mi conoscevano tutti e io mi trovavo in una posizione anche particolare, una donna sposata, una donna sola, e così mi sono nascosta. A quel punto siamo arrivati in una casa, lui ha entrato la macchina, ha chiuso il portone e li ci siamo incontrati, sono state circa un paio di ore assieme a lui". "Sono stata bene, abbiamo parlato, mi sono sentita anche un poco rassicurata, tipo mi sono sentita come appoggiata", ha ammesso.
Nella sua pena i giudici l'hanno anche condannata a risarcire il ministero per l'istruzione. Il giudice ha inoltre applicato alla donna la misura di sicurezza personale della libertà vigilata per tre anni, una volta scontata la pena. Infine la maestra è stata condannata a risarcire le parti civili. Al Comune di Castelvetrano e a quello di Campobello di Mazara sono stati riconosciuti 25.000 euro ciascuno di risarcimento del danno, 10.000 euro dovranno essere pagati dall'imputata al ministero dell'istruzione e alla presidenza della Regione. Bonafede è stata infine condannata a risarcire con 3.000 euro ciascuno il centro studi Pio Latorre, l'associazione antimafia Caponnetto, l'associazione antiracket di Trapani e l'associazione Codici Sicilia.