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Cronache
Migranti, i numeri non sono tutto. Ecco perché Alesina sbaglia

Alberto Alesina scrive sul “Corriere della Sera” un articolo inoppugnabile. Documenta – con i numeri – quanto le opinioni di molti cittadini europei siano sbagliate riguardo agli emigranti. Abbiamo idee infondate riguardo a quanti siano, percentualmente, rispetto alla popolazione nazionale. Non sappiamo quanti siano islamici, quanti siano disoccupati e quali vantaggi ricevano (se ne ricevono) rispetto ai residenti. Insomma gli allarmi sono eccessivi e il quadro reale è diverso da quello che i cittadini si rappresentano. La massa è vittima di allarmi inventati.

Ma i numeri non sono tutto. Alesina infatti non risponde ad alcune osservazioni. Sarà vero che i cittadini sono troppo spaventati, ma non si può negare gli Stati abbiano cominciato a preoccuparsi di questo stato d’animo con molto ritardo. Se ci si fosse resi conto prima dell’entità del problema, e se si fosse reagito in tempo, non si sarebbe arrivati a questi eccessi. Mesi fa l’Ungheria ha rischiato un’invasione da sud e il Paese ha reagito con una totale chiusura: filo spinato ed uomini armati. È vero che negli altri Paesi la risposta è stata definita brutale, eccessiva, inumana, ma certo gli ungheresi oggi non temono l’invasione, avendo visto che il loro governo è pronto a “difenderli”. Noi forse abbiamo dimenticato che gli Ottomani, ancora nel 1683, hanno assediato Vienna, gli ungheresi no.

Comunque, non siamo qui per giudicare gli ungheresi e il loro governo. Ci basta sapere che in democrazia è il governo che deve seguire il popolo, non il popolo che deve seguire il governo. E invece da noi, mentre il popolo, esasperato, era al limite della xenofobia, abbiamo avuto un governo “buonista” che non intendeva ragioni. Fino alla reazione del 4 marzo.

Riguardo all’eccessivo allarme della gente, ha funzionato il meccanismo degli scioperi. Se degli operai si considerano sottopagati e fanno sciopero, lo strumento sembra assurdo: perché durante lo sciopero guadagnano anche di meno. Ma loro potrebbero rispondere: “Assurdo? Forse. Ma se è l’unico modo per farci sentire?”

Per dimostrare quanto ci sbagliamo, Alesina scrive che per gli intervistati gli immigrati sarebbero il 30% della popolazione, mentre in realtà sono soltanto il 10%. Soltanto? Io ho letto che quando un gruppo allogeno supera una certa soglia (fra il 6 e il 10% della popolazione) le frizioni divengono inevitabili. Dunque quel 10% è tutt’altro che da prendere sottogamba. Negli Stati Uniti - esempio: il caso Rodney King - si sono avute autentiche sommosse perché qualche giovane nero, forse un po’ fuori di testa, era stato ucciso dai poliziotti. E, si badi, il gruppo allogeno non protestava contro la “brutalità della polizia”, protestava contro il “razzismo della polizia”, convinto com’era che quei giovani non sarebbero stati uccisi se fossero stati bianchi. Non giudichiamo nessuno e non diciamo chi ha ragione: ciò che interessa è che la presenza di un gruppo allogeno è fonte di problemi.

Molti sostengono che non abbiamo niente da temere dall’immigrazione. Ma questa tesi “prova troppo”. È vero, il vino non provoca il cancro, ma abusarne può condurre all’alcolismo. Anche ad ammettere che l’immigrazione abbia lati positivi, per esempio per quanto riguarda il finanziamento delle pensioni, qualunque immigrazione è ugualmente utile?

A mio parere, ad esempio, è negativa l’immigrazione dei neri. Non per razzismo, dal momento che scientificamente distinguere un nero da un bianco è perfettamente stupido e privo di fondamento. Sotto la pelle siamo assolutamente uguali. Il problema è un altro: la gente lo capisce, che siamo assolutamente identici? Bisogna tenere conto delle condizioni date, non di quelle che vorremmo ci fossero. Per loro disgrazia i negri rimangono neri di pelle, anche se si integrano perfettamente. Per molta gente sono un “loro” diverso rispetto ad un “noi”. Sarà sbagliato, ma perché negarlo? Basterebbe chiedere ai più generosi: “Sareste contenti se vostra figlia vi presentasse un fidanzato nero?” Negli Stati Uniti i media si affannano a presentarci magistrati neri, senatori neri, avvocati neri, medici neri, ma chi potrebbe dire che il razzismo sia totalmente morto, in quel grande Paese? Realisticamente la cosa migliore è non dare al razzismo l’occasione di nascere, visto che dopo non c’è modo di eliminarlo.

Il secondo limite riguarda i musulmani. Quand’anche di pelle bianchissima. In questo caso non perché noi, colpevolmente, gli impediamo di integrarsi, ma perché loro, colpevolmente, rifiutano di integrarsi. Anche dopo generazioni. A Parigi la sensazione è che un francese, nato in Francia, figlio di francesi, ma nipote di immigrati musulmani, è più musulmano che francese. Che facciamo, aspettiamo di crederci per esperienza? Basta andare a vedere quanto un parigino si senta a casa sua a Porte de la Chapelle, e siamo ancora a Parigi.

Qualunque immigrazione, dunque, d’accordo: ma bianca e non musulmana. La prima, perché rischiamo di essere intolleranti noi, la seconda perché rischiano di essere intolleranti loro.

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