Cronache

Misticismo e spiritualità, ecco dove e come è nata la teoria del gene di Dio

di Giorgio Nadali*

Ecco che cos'è la teoria del gene di Dio, un approccio che predispone gli esseri umani verso esperienze mistiche e spirituali

La teoria del gene di Dio

La Teoria del gene di Dio ipotizza uno specifico gene chiamato VMAT2 che predispone gli esseri umani verso esperienze mistiche e spirituali. L'idea è stata postulata dal genetista Dean Hamer, direttore dell'unità di genetica presso il National Cancer Institute e autore di un libro del 2006. A pagina sei del suo libro Hamer si chiede: «Perché la spiritualità è una forza così potente e universale? Perché così tante persone credono in cose che non possono vedere, annusare, assaggiare, ascoltare o toccare? Perché persone di tutte i tipi, nel mondo, al di là del loro credo religioso o del particolare dio che venerano, danno importanza alla spiritualità come o più del piacere, del potere e della salute? Ritengo che la risposta sia, almeno in parte, cablata nei nostri geni. La spiritualità è una delle nostre eredità basilari umane. È di fatto un istinto».

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La teoria è basata su una combinazione di studi genetici, neurobiologici e psicologici del comportamento. Gli argomenti principali dell'ipotesi sono: (1) la spiritualità può essere misurata mediante misurazioni psicometriche; (2) l’orientamento personale alla spiritualità è parzialmente ereditabile; (3) parte di questa ereditabilità può essere attribuita al gene VMAT2; (4) questo gene agisce alterando i livelli di monoamine; e (5) gli individui spirituali sono favoriti dalla selezione naturale perché sono dotati di un innato senso di ottimismo, questi ultimi producenti effetti positivi a livello fisico o psicologico.

Un certo numero di scienziati e ricercatori è critico verso questa ipotesi; Carl Zimmer, scrivendo sulla rivista «Scientific American», si chiede perché «Hamer volle far pubblicare il libro prima di esporre i suoi risultati in una rivista scientifica credibile». Nel suo libro, Hamer scrive: «proprio perché la spiritualità è in parte genetica, non significa che sia automatica. Secondo questa ipotesi, il gene di Dio (VMAT2) è una disposizione fisiologica che produce le sensazioni associate da alcuni con esperienze mistiche, tra cui la presenza di Dio, o più precisamente la spiritualità come stato d'animo (cioè non codifica o causare la fede in Dio stesso, nonostante il “Gene di Dio”)».

Basata sulla ricerca dello psicologo Robert Cloninger, questa tendenza verso la spiritualità è quantificata mediante la scala di auto-trascendenza, che è composta di tre sottoinsiemi: “dimenticanza di sé” (come la tendenza a diventare totalmente assorbito in alcune attività, come ad esempio la lettura); “identificazione del transpersonale” (un sentimento di connessione a un universo più grande); e “misticismo” (un'apertura a credere in cose non letteralmente provabili, come le esperienze sensitive). Cloninger suggerisce che prese nel loro insieme, queste misurazioni sono un modo ragionevole per quantificare (rendere misurabile) come “spirituale” una persona. Walter Houston, cappellano del Mansfield College di Oxford ha osservato: “Il credo religioso non è solo correlato alla costituzione di una persona; è legato alla società, alla tradizione, al carattere. Avere un gene che può fare tutto questo mi sembra abbastanza improbabile”. Hamer ha risposto che l'esistenza di un tale gene non sarebbe incompatibile con l'esistenza di un Dio personale: «I credenti possono indicare l'esistenza di geni di Dio come un segno in più dell'ingegno del creatore — un modo intelligente per aiutare gli esseri umani nel riconoscere e abbracciare una presenza divina».

Hamer ha evidenziato più volte nel suo libro, «questo libro riguarda il fatto se i “geni di Dio” esistano, non sul fatto che Dio esista». Nel 1996 lo scienziato (ateo) premio Nobel (1962) Francis Crick ha scoperto che il libero arbitrio non esiste. Le azioni umane sarebbero tutte predeterminate. Il ricercatore Jonathan Schooler ha condotto degli esperimenti su vari soggetti scoprendo che coloro che erano stati convinti dell’assenza di libertà personale di scelta, assumevano comportamenti immorali rispetto a quelli che erano certi di poter scegliere. Ciò dimostra che eliminando il libero arbitrio crollerebbero i sistemi religiosi e il concetto di peccato, ma anche la società ordinata, che si trasformerebbe in una giungla spietata e invivibile.

*Giornalista per diverse testate nazionali, docente presso l'Università UniTre di Milano e il circolo filologico milanese; business e performance coach, autore di 16 libri pubblicati da 7 diversi editori.