Cronache

Omicidio Prati, spunta Patrizio Bati: il testimone della casa degli orrori

Di Giuseppe Vatinno

Lo scrittore racconta di conoscere bene una prostituta uccisa e di immaginarsi benissimo l’altra vittima perché lui quella casa chiusa l’ha frequentata

Omicidio di Prati, Patrizio Bati descrive con una accuratezza maniacale i particolari della casa e i “riti” delle prostitute. IL CASO

Nella vicenda del serial killer delle prostitute uccise a Prati c’è un mistero nel mistero e riguarda uno scrittore, Patrizio Bati, che ha scritto un solo libro, “Noi felici pochi” edito addirittura da Mondadori nel 2019 e accolto a suo tempo da recensioni entusiastiche anche dal Corriere della Sera, poi non ha scritto più nulla.

Nella scarna biografia leggiamo: “Patrizio Bati vive e lavora a Roma. Laureato in Legge, è sposato e padre di una bambina di otto anni. Nel suo studio ha un’asta di bandiera, un bonsai di ficus benjamin e una collezione di foto segnaletiche di detenuti americani anni Cinquanta. Questo è il suo primo romanzo”.

Intanto il suo nome sarebbe l’adattamento di Patrick Bateman, il serial killer di American Psycho scritto da Bret Easton Ellis, dunque uno pseudonimo. Il racconto è preceduto da una “avvertenza” che dice: "Nelle scene di violenza descritte in questo libro, tutte le persone di cui si parla sono state realmente aggredite e malmenate".

Ed infatti “Noi felici pochi” è un romanzo basato sulla violenza. Ambientato nel quartiere bene di Roma dei Parioli (peraltro vicino a Prati), racconta le avventure goliardiche di un gruppetto di amici caratterizzati da essere di estrema destra che si divertono –diciamo così- a fare scherzi che finiscono sempre in maniera violenta per le vittime.

Restano impressi due episodi. Il primo è ambientato a Piazza Euclide e cioè il centro dei Parioli. Un giorno una ragazza finge che l’Atac abbia interrotto i collegamenti bus e abbia messo a disposizione dei passeggeri auto “sustitutive” (sic). La gente ci crede e lì inizia lo scherzo. Il guidatore è in realtà un pazzo che comincia a guidare in maniera incontrollata, invadendo le preferenziali ed accelerando a folle velocità. A quel punto si avvicina un’altra auto con tre complici a bordo che bloccano la prima, scendono e si scatena la rissa in cui la vittima dello scherzo viene menata piuttosto selvaggiamente.

Nel secondo “scherzo” raccontato nel libro il protagonista è invece Carlo Mazzone ex allenatore della Roma e noto per il suo carattere focoso. Il gruppetto, sempre a Piazza Euclide, scende e parla con lui della squadra di calcio. Lui ci sta, si infervora perché è un vero tifoso della Roma e a quel punto passa la macchina dei complici che si fingono laziali e lo insultano. Mazzone fa finta di niente ma poi ad un secondo giro l’auto si ferma e tre persone scendono e scoppia la rissa in cui è coinvolto anche lui che viene pestato.

Come si vede un romanzo particolare, che ha una sua creatività che prende forza da essere fatti veri, anche se non pubblici, di violenza sullo stile di “arancia meccanica”. E qui veniamo al collegamento. Patrizio Bati ha scritto due giorni fa un articolo per La Stampa in cui racconta di conoscere bene una prostituta uccisa e di immaginarsi benissimo l’altra vittima perché lui quella casa chiusa l’ha frequentata personalmente dal 2010 al 2018.

L’articolo in realtà è l’occasione di raccontare come si svolge la vita in una casa chiusa cinese che lui conosce bene. Vengono descritti con una accuratezza maniacale i particolari che vi si svolgono, i “riti” delle prostitute, le loro misure di sicurezza che li portano a schedare i clienti telefonicamente con una scala da 1 a 10 a seconda la loro supposta affidabilità.

Insomma sembra quasi che Bati più che abbia frequentato abbia vissuto in quell’appartamento dove si sono svolti due degli omicidi, quelli relativi alle due prostitute cinesi in via Augusto Riboty. Sulla pagina Facebook di Bati ci sono stati molti commenti negativi nei suoi confronti soprattutto da parte di gruppi femministi e di qualcuno che aveva letto il suo romanzo.

In tutto questo Bati sembra aver fatto una buona pubblicità soprattutto al suo libro. Certo che Massimo Giannini, direttore de La Stampa, dovrebbe conoscere il nome che si cela dietro allo pseudonimo e le autorità potrebbero essere interessate a conoscere bene le dinamiche dell’appartamento dove sono state uccise le due prostitute.