Cronache
Raccolta dei pomodori: 178 mila stagionali in Puglia
Occhi puntati sulla Puglia: da Foggia a Lecce, da Bari a Taranto è iniziata la stagione della raccolta dei pomodori che porterà nelle campagne, secondo le stime Flai Cgil, 178.000 lavoratori stagionali di cui 45.000 di origine straniera. Sono proprio loro - come spiega Redattore Sociale - insieme alle donne, quelli più esposti a forme di violenza e sfruttamento, come confermano anche i gravi episodi denunciati da Intersos proprio in questi giorni. Difficile registrare quante siano le persone effettivamente coinvolte, ma secondo le stime di Oxfam, confermate anche dall’Osservatorio sulla Criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, sono oltre 400.000 i lavoratori a rischio sfruttamento in Italia. La stima dell’Ispettorato nazionale del lavoro in agricoltura è che, in Italia, il 51% delle aziende presenti delle irregolarità dal punto di vista della gestione del lavoro e in più di sei casi su dieci si stimano e raffrontano contratti di lavoro irregolari. “Si tratta di dati - spiega Antonio Gagliardi, segretario regionale Flai-Cgil Puglia - che riscontriamo anche in Puglia dove, per esempio, soprattutto nell’area nord occidentale della provincia di Taranto e nel foggiano si registrano picchi fino all’88% di contratti che prevedono un salario inferiore a quanto previsto dai contratti nazionali per il lavoro agricolo”.
I più colpiti sono i lavoratori stranieri e le donne. Il sindacato denuncia come le giornate dichiarate per queste categorie siano in realtà un terzo di quelle effettive. Oltre allo sfruttamento indiscriminato, però, donne e stranieri sono maggiormente vulnerabili anche al rischio di violenze. “Di fatto sono più ricattabili - aggiunge Gagliardi - perché hanno più bisogno di lavorare e meno strade accessibili per contratti regolari”. Eppure gli strumenti per una regolarizzazione del lavoro agricolo esistono e sembrano coinvolgere un numero di soggetti sempre più ampio. “L’impressione - racconta Rosa Vaglio, presidentessa dell’associazione Diritti a Sud attiva nel leccese con il progetto Sfrutta Zero - è che ci siano più controlli e arresti che vanno a colpire chi sfrutta i lavoratori. È un trend che non si può negare, anche se siamo ben lungi da aver cancellato il fenomeno”.
Dopo gli incidenti che, nell’estate scorsa, sono costati la vita a 11 braccianti nel foggiano, è stata istituita una task force provinciale dei carabinieri che opera a stretto contatto con il NIL, Nucleo Ispettorato del Lavoro, concentrandosi anche sull’individuare i caporali. Oggi le task force sono attive in tutte le province pugliesi e a Taranto, a partire dal 1 giugno scorso, sono state arrestate 19 persone, 6 denunciate, mentre sono stati sequestrati beni mobili e immobili per circa 145.000 euro e comminate sanzioni amministrative e ammende per più di 600.000 euro.
La percezione è che, dal punto di vista repressivo, crescano gli interventi di contrasto al caporalato previsti dalla legge 199 del 2016, mentre a livello preventivo il lavoro è ancora indietro. Dopo Foggia e Brindisi, oggi anche Lecce ha la sua Rete del lavoro agricolo di qualità, uno strumento che unisce più enti (comuni, Inps, sindacati) al fine di contrastare lo sfruttamento del lavoro in agricoltura e, in particolare, favorire una gestione del mercato del lavoro chiaro e trasparente. Nella stessa direzione è da leggere anche l’istituzione di liste di speciali per il settore agricolo, gestite dai Centri per l’Impiego, dove i braccianti possono iscriversi ed essere contattati direttamente dalle aziende in un contesto di piena legalità. “Si tratta tuttavia - continua il segretario Gagliardi - di strumenti volontari da entrambe le parti: non c’è l’obbligo di iscrizione per i lavoratori, né quello per le aziende di utilizzarle; ad oggi non abbiamo stime a disposizione di quante persone si siano effettivamente iscritte”.
Esiste, inoltre, un problema di accessibilità alle informazioni. Non sempre i braccianti hanno modo di accedere alle informazioni necessarie per poter stipulare un contratto di lavoro regolare, soprattutto, come denunciato dalle Ong, nel caso di lavoratori di origine straniera. Con questo obiettivo, a Foggia e a San Severo, è stato istituito uno sportello informativo multilingue chiamato “CaporALT”, nel quadro del “Protocollo sperimentale contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura”.
L’attenzione sul tema è alta, sebbene Gagliardi noti come in realtà sia già tardi per introdurre modifiche e miglioramenti strutturali in tempo per questa raccolta che, infatti, in diverse zone della regione è già iniziata. Come, ad esempio, a Nardò, in provincia di Lecce. “Sono già partiti i 23 contratti agricoli per i lavoratori che si occuperanno della raccolta dei pomodori per questa annata, sei dei quali per volontari che dunque non percepiscono compenso”, spiega Rosa Vaglio di Diritti a Sud. L’associazione, insieme a Solidaria di Bari, porta avanti dal 2015 il progetto Sfrutta Zero che produce salsa di pomodoro “pulita e giusta”, presentandosi direttamente sul territorio come un’alternativa al lavoro nero e al lavoro grigio. “I contratti sono tutti in regola con busta paga in linea con il contratto nazionale come raccoglitori di ortaggi, il primo livello di specializzazione per il lavoratore agricolo”. La giornata lavorativa è di sei ore al massimo e spesso varia a seconda della temperatura, si parte ogni giorno tra le 5 e le 6 per finire non oltre mezzogiorno. L’obiettivo è superare la produzione dell’anno scorso che ha sfondato il muro dei 24.000 vasetti di salsa di pomodoro da 0,58 litri.
“Noi siamo una piccola realtà - aggiunge Vaglio - che coinvolge lavoratori sia italiani che stranieri: quest’anno, in particolare, provengono tutti da paesi di origine subsahariana come Mali, Gambia, Senegal, Sudan, titolari di protezione sussidiaria e con varie forme di permesso di soggiorno”. Sfrutta Zero non è il solo progetto virtuoso sul territorio pugliese: ci sono, infatti, anche altre associazioni e piccole aziende che producono nel rispetto della sostenibilità economica, ambientale e sociale dell’agricoltura e che coinvolgono richiedenti asilo e rifugiati nell’attività produttiva. “Gli strumenti ora ci sono” conclude Gagliardi “è necessario lavorare in rete perché si possa procedere sulla strada del superamento di questa forma inconcepibile di sfruttamento della manodopera e dei lavoratori guardando al futuro. Per quest’anno? Potrebbe essere troppo tardi”.