Cronache
Regeni, 4 '007' egiziani verso processo. Teste:"Vidi Giulio con segni tortura"
La chiusura delle indagini arriva a due anni dall'iscrizione sul registro degli indagati.
Regeni, gli 007 egiziani verso il processo
Chiuse le indagini della procura di Roma sulla morte di Giulio Regeni, avvenuta nel 2016 in Egitto. A rischiare il processo quattro 007 egiziani. Agli indagati il procuratore Michele Prestipino e il pm Sergio Colaiocco contestano, a vario titolo, il reato di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali e omicidio. Per un quinto agente i pm capitolini hanno chiesto l'archiviazione.
Il ruolo degli agenti nel sequestro nell'omicidio è stato ricostruito nell'attività di indagine dei carabinieri del Ros e dei poliziotti dello Sco. La chiusura delle indagini arriva a due anni dall'iscrizione sul registro degli indagati.
A rischiare il processo sono il generale Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. A quest'ultimo, oltre al sequestro di persona pluriaggravato, sono contestate anche le lesioni personali e l'omicidio del ricercatore friulano. Chiesta l’archiviazione invece per Mahmoud Najem. Per quest'ultimo, spiegano i pm di Roma, "non sono stati trovati elementi sufficienti, allo stato, a sostenere l’accusa in giudizio".
La notifica è avvenuta tramite "rito degli irreperibili" direttamente ai difensori di ufficio italiani non essendo mai pervenuta l’elezione di domicilio degli indagati dal Cairo. Proprio quest’ultimo punto era tra quelli oggetto della rogatoria avanzata nell'aprile del 2019 in cui i magistrati romani chiedevano risposte concrete agli omologhi egiziani. Richieste ribadite nei diversi incontri che negli anni si sono svolti tra investigatori e inquirenti italiani e egiziani ma che il Cairo ha lasciato inevase.
Regeni, teste: "Ho visto Giulio ammanettato e con segni tortura"
"Ho visto Giulio ammanettato a terra con segni di tortura sul torace". Questo è il racconto fornito da uno dei cinque testimoni sentiti dai magistrati di Roma nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni. La sua testimonianza è stata citata oggi dal pm Sergio Colaiocco nel corso dell’audizione davanti alla commissione di inchiesta sulla morte del giovane ricercatore friulano. "Ho lavorato per 15 anni nella sede della National Security dove Giulio è stato ucciso - ha dichiarato il testimone -. E' una villa che risale ai tempi di Nasser, poi sfruttata dagli organi investigativi. Al primo piano della struttura c’è la stanza 13 dove vengono portati gli stranieri sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale. Il 28 o 29 gennaio ho visto Regeni in quella stanza con ufficiali e agenti. C'erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e parlava in italiano. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato. Dietro la schiena aveva dei segni, anche se sono passati quattro anni ricordo quella scena. L’ho riconosciuto alcuni giorni dopo da foto sui giornali e ho capito che era lui".
Regeni, legale famiglia: "Vogliamo tutti gli anelli catena"
"Noi vogliamo tutti gli anelli della catena". Lo ha detto l'avvocato Alessandra Ballerini, legale della famiglia Regeni, in conferenza stampa, dopo la conclusione delle indagini sulla morte del giovane ricercatore in Egitto. "Sono passati 5 anni - ha aggiunto - quello di oggi è un punto di partenza". "Niente ci ferma, la nostra battaglia prosegue", ha detto Paola Deffendi, madre di Giulio Regeni, in conferenza stampa. "La giustizia non è barattabile, senza giustizia non ci sono nè diritti nè libertà", ha ricordato l'avvocato Ballerini. "I genitori di Giulio potevano scegliere di chiudersi nel loro dolore, invece hanno portato avanti una battaglia senza pause - ha aggiunto l'avvocato - messa a disposizione di tutti. Vorremmo la stessa fermezza ed abnegazione da parte di chi ci governa".