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Cronache
Stato-mafia, i giudici: "la trattativa accelerò la morte di Borsellino"

"L'improvvisa accelerazione che ebbe l'esecuzione del dottore Borsellino" fu determinata "dai segnali di disponibilità al dialogo - ed in sostanza, di cedimento alla tracotanza mafiosa culminata nella strage di Capaci - pervenuti a Salvatore Riina, attraverso Vito Ciancimino, proprio nel periodo immediatamente precedente la strage di via D'Ameliio". Per i giudici del processo Trattativa Stato-mafia, "non vi è dubbio" che i contatti fra gli ufficiali dei carabinieri Mori e De Donno con Vito Ciancimino, unitamente al verificarsi di accadimenti (quali l'avvicendamento di quel ministro dell'Interno che si era particolarmente speso nell'azione di contrasto alle mafie, in assenza di plausibili pubbliche spiegazioni) che potevano ugualmente essere percepiti come ulteriori segnali di cedimento dello Stato, ben potevano essere percepiti da Salvatore Riina già come forieri di sviluppi positivi per l'organizzazione mafiosa nella misura in cui quegli ufficiali lo avevano sollecitato ad avanzare richieste cui condizionare la cessazione della strategia di attacco frontale allo Stato".

Questo uno dei passaggi delle 5252 pagine depositate oggi dalla corte d'assise presieduta da Alfredo Montalto (a latere Stefania Brambille). Una sentenza che il 20 aprile scorso ha portato a pesanti condanne: dodici anni per gli ex generali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, dodici anni per l’ex senatore Marcello Dell’Utri, 8 anni per l’ex colonnello Giuseppe De Donno. E poi, ventotto anni per il boss Leoluca Bagarella. E assoluzione per l’ex ministro Nicola Mancino, “perché il fatto non sussiste”. Massimo Ciancimino, il supertestimone del processo, è stato condannato a 8 anni per calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, è stato invece assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

I giudici scrivono ancora: "Ove non si volesse prevenire alla conclusione dell'accusa che Riina abbia deciso di uccidere Borsellino temendo la sua opposizione alla trattativa, conclusione che peraltro trova una qualche convergenza nel fatto che secondo quanto riferito dalla moglie, Agnese Piraino Leto, Borsellino, poco prima di morire, le aveva fatto cenno a contatti tra esponenti infedeli delle istituzioni e mafiosi, in ogni caso non c'è dubbio che quell'invito al dialogo pervenuto dai carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituisca un sicuro elemento di novità che può certamente avere determinato l'effetto dell'accelerazione dell'omicidio di Borsellino, con la finalità di approfittare di quel segnale di debolezza proveniente dalle istituzioni dello Stato e di lucrare, quindi, nel tempo dopo quell'ulteriore manifestazione di incontenibile violenza concretizzatasi nella strage di via d'Amelio, maggiori vantaggi rispetto a quelli che sul momento avrebbero potuto determinarsi in senso negativo".

La corte "smonta" poi le tesi dei legali degli imputati che attribuivano l'accelerazione dei tempi della strage all'indagine mafia-appalti che il magistrato stava effettuando e anche alla possibilità di una sua nomina a Procuratore Nazionale Antimafia.

Per i giudici, un ruolo importante nella trattativa Stato-mafia sarebbe stato svolto anche da Marcello Dell'Utri: "Con l'apertura alle esigenze dell'associazione mafiosa Cosa nostra, manifestata da Dell'Utri nella sua funziona di intermediario dell'imprenditore Silvio Berlusconi nel frattempo sceso in campo in vista delle politiche del 1994, si rafforza il proposito criminoso dei vertici mafiosi di proseguire con la strategia ricattatoria iniziata da Riina nel 1992". E ancora: "Se pure non vi è prova diretta dell'inoltro della minaccia mafiosa da Dell'Utri a Berlusconi, perché solo loro sanno i contenuti dei loro colloqui, ci sono ragioni logico-fattuali che inducono a non dubitare che Dell'Utri abbia riferito a Berlusconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l'associazione mafiosa Cosa nostra mediati da Vittorio Mangano".

Stato-mafia: Corte, Dell'Utri intermediario minacce a Berlusconi

Il ruolo di Marcello Dell'Utri "come intermediario delle minacce di Cosa nostra a Silvio Berlusconi non si colloca nel momento in cui quest'ultimo decise di scendere in politica, ma fu espresso dopo che fu formato e insediato il nuovo governo presieduto proprio da Berlusconi. Lo scrive, nella motivazione della sentenza del processo trattativa stato-mafia, la Corte d'Assise di Palermo. Il riferimento sono gli incontri che Dell'Utri, condannato a 12 anni, ebbe con l'ex stalliere di Arcore Vittorio Mangano "in almeno due occasioni, la prima tra giugno e luglio 1994, la seconda nel dicembre dello stesso anno, per sollecitare l'adempimento degli impegni presi durante la campagna elettorale, ricevendo, in entrambe le occasioni, ampie e concrete rassicurazioni". Il collegio presieduto da Alfredo Montalto concorda con le argomentazioni difensive di Dell'Utri, che negano che le iniziative "fossero state effetto diretto di una minaccia", legandole piuttosto a "libere scelte di quella consistente componente di soggetti facenti parte di Forza Italia che, per risalente asserita vocazione garantista, da tempo si battevano contro alcuni provvedimenti adottati in funzione antimafia dai precedenti governi". "Cio' pero' non toglie - prosegue la sentenza - che ugualmente gli interventi di Mangano nei confronti di Dell'Utri possano avere avuto una obiettiva attitudine ad intimorire il destinatario finale, individuato dei mafiosi in Berlusconi, indipendentemente dal fatto che l'effetto intimidatorio, purche' comunque percepibile, possa avere inciso concretamente sulla sua liberta' psichica e morale di autodeterminazione".

Stato-mafia: "Berlusconi informato su rischio reazioni stragiste"

"Deve ritenersi provato che ben prima dell'insediamento del nuovo governo Berlusconi, Marcello Dell'Utri, attraverso Vittorio Mangano, al fine di accaparrare in favore di Forza Italia anche i voti che in Sicilia Cosa nostra allora ancora in misura non piccola controllava, aveva dato assicurazioni - aveva promesso - che l'eventuale nuovo governo presieduto da Berlusconi avrebbe adottato alcuni provvedimenti oggetto di risalenti richieste dei mafiosi". E' quanto si legge nelle motivazioni del processo sulla trattativa tra Stato e mafia, depositate oggi dalla Corte d'assise di Palermo. La Corte sostiene che Dell'Utri "continuava ad informare Berlusconi di tutti i suoi contatti con i mafiosi anche dopo l'insediamento del governo da quest'ultimo presieduto e vi e' la definitiva conferma che anche il destinatario finale della pressione o dei tentativi di pressione, e cioe' Berlusconi, mentre ricopriva la carica di presidente del Consiglio, venne a conoscenza della minaccia in essi insita e del conseguente pericolo di reazioni stragiste che una inattivita' nel senso delle richieste dei mafiosi avrenne potuto fare insorgere".


MAFIA: MATTARELLA, NON SMETTERE DI CERCARE VERITA' SU STRAGE BORSELLINO

"Onorare la memoria del giudice Borsellino e delle persone che lo scortavano significa anche non smettere di cercare la verità su quella strage". Così in una dichiarazione il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. "A ventisei anni di distanza - sottolinea il capo dello Stato - sono vivi il ricordo e la commozione per il vile attentato di via d'Amelio, in cui hanno perso la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina. Borsellino era un giudice esemplare: probo, riservato, coraggioso e determinato". "Le sue inchieste conclude Mattarella - hanno costituito delle pietre miliari nella lotta contro la mafia in Sicilia. Insieme al collega e amico Giovanni Falcone, Borsellino è diventato, a pieno titolo, il simbolo dell'Italia che combatte e non si arrende di fronte alla criminalità organizzata". 

BORSELLINO: MESSA CON FAMIGLIA APRE GIORNATA RICORDO A PALERMO

La messa nella chiesa di San Francesco Saverio nel quartiere Albergheria a Palermo ha aperto la lunga giornata di iniziative in ricordo del giudice Paolo Borsellino, ucciso 26 anni fa nella strage di via D'Amelio insieme agli agenti di scorta. In chiesa le due figlie del magistrato assassinato da Cosa nostra, Lucia e Fiammetta, alla presenza, tra gli altri, del prefetto, Antonella De Miro, e del sottosegretario all'Interno, Stefano Candiani. "Un momento di preghiera e di condivisione" spiega la famiglia Borsellino. A celebrare la messa don Cosimo Scordato, parroco di frontiera da sempre in prima linea nella difesa degli ultimi. 

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